venerdì 15 agosto 2008
Gita al mare, con ansia e panini
L’altra mattina mi svegliai scoprendo di essere più incazzato del solito. Me ne accorsi allorché, complice il caldo atroce che da giorni ci opprimeva e di notte non ci faceva chiudere occhio, tentai invano di far mangiare una manciata di semi di girasole al pappagallo per le minzioni notturne che ho sotto al letto, convinto che, in quanto pappagallo, ne fosse ghiotto.
Poi, aperte le finestre e vista la magnifica giornata di sole, mi feci coraggio e dissi a mia moglie: “Basta, con la paura del traffico e delle file! Oggi si va al mare!”.
Così mettemmo nella Panda nuova color “giallo ottimista” i due sgabelletti da spiaggia, nuovi anch’essi; l’ombrellone grande; due asciugamani; la borsa-frigo con le acque dissetanti; la scatola nera del progetto ministeriale “Guidi sicuro se eviti il muro”; il navigatore satellitare, usato e acquistato su internet, che mi avverte degli autovelox e delle file, e ci avviammo felici come pasque verso i desïati lidi.
Presi con me, non si sa mai, anche la nuova “Piantina degli Ingorghi e dei Lavori in corso di Olbia”, stampata appositamente per i turisti, con allegato il “Vademecum del Sopravvissuto alle Code e alle Buche” e, a 30 all’ora, dietro una colonna infame diretta verso il mare, restammo quasi subito imbottigliati per 45 minuti nella fila formatasi al semaforo perpetuo del Padrongiano (vedi post precedente, del 5 agosto: "Vacanze alternative - 1" ), non segnalata dal navigatore usato che ha solo la mappa dell’Alta Brianza. Passata la fila e gabbato lo santo, come si dice, riprendemmo il viaggio.
“Oggi ci facciamo un bel bagno nelle acque azzurre del golfo di Orosei”, gridai esultante a mia moglie imboccando spensierato lo svincolo per Nuoro.
Arrivati a Siniscola verso le 11, superati tre ingorghi rapidi da soli 25 minuti cadauno e attraversato il centro dell’amena cittadina in meno di mezz’ora, finalmente potevamo dire di avere a nostra disposizione l’intero litorale.
Verso le 13,30, sotto un sole di rame a 40 gradi che non se ne poteva più dal caldo, oltre la muraglia umana di bagnanti con ombrelloni, sdraio con bagnanti, pedalò a due piani, e vu cumpra’, vedemmo in lontananza qualcosa che luccicava e che vagamente ci ricordava il mare. Un amico ci aveva detto che lì avremmo trovato facilmente posto; che lui c’era stato due volte, a dicembre e a marzo, e non aveva trovato nessuno. Già, ma ora siamo in agosto e, nonostante la crisi sbandierata ai quattro venti, lì, dove diceva il mio amico, c’erano solo posti in piedi.
Intanto, a proposito di venti, se n’era levato uno di scirocco, mostruoso, le cui raffiche fortissime facevano volare via ombrelloni, stuoie e sgabelletti, lasciando solo i pedalò, i bagnanti e i vu cumpra’.
Così, alle due del pomeriggio, con un sole di rame che scioglieva l’asfalto, abbandonati i sandali la cui suola si era nel frattempo vulcanizzata col manto bituminoso della SS 125, evitando i miraggi e raccomandandoci ai santini da collezione che tengo sul cruscotto, acquistati in edicola – prima uscita sei santini più il povero Padre Pio, a € 1,99 –, decidemmo di rifugiarci all’ombra di qualche pineta, da quelle parti numerose lungo il litorale.
Però non avevamo tenuto conto che da qualche anno le amministrazioni locali hanno la facoltà di imporre un pedaggio per molti accessi al mare, pinete comprese, e se non hai quella che si chiama una botta di culo a trovare un ingresso libero, con la scusa del parcheggio per la macchina, per farti qualche ora di mare ti devi svenare. A meno che tu non decida di lasciare la macchina lungo la carreggiata, prima dell’ingresso, farti un paio di chilometri a piedi sotto il sole e carico come un mulo alpino, e passare la giornata a pregare che nessuno nel frattempo ti abbia fatto la contravvenzione per divieto di sosta. Anche se l’hai parcheggiata bene e hai lasciato lo spazio sufficiente per due Tir.
Ma chi se ne frega! pensai. In fondo, avevamo ancora i panini col salame, l’acqua fresca, gli sgabelletti e gli asciugamani. Così, con la Panda un po’ meno ottimista, ci infilammo in una stradina in mezzo al bosco e finalmente, senza pagare pedaggi ed esosi balzelli, alle 15.30 giungemmo ai margini di una pineta, proprio sul mare che lambiva una bassa scogliera aguzza di punte rocciose, nei pressi della borgata di Santa Lucia.
Il vento di scirocco intanto era rinforzato, il mare spumeggiava e gli spruzzi ci arrivavano addosso. Una ventata, più forte delle altre, mi fece volar via lo sgabelletto scagliandolo sulla portiera della Panda sempre meno ottimista e, proprio mentre aprivo il panino per chiedere a mia moglie se mi poteva aggiungere una fettina di salame in più, la malefica folata scirocchesca mi portò via tutte le altre fette lasciandomi il panino vuoto. Fui salvato solo dalla generosità di mia moglie, che mi dette una parte del suo al quale era volata via solo la metà del coperchio, lasciando per fortuna intatta l’imbottitura salamesca.
Finito il “pranzo”, non potendo fare il bagno viste le condizioni del mare e della infìda scogliera, fatta almeno la pipì (non controvento, perché non sono mica scemo!), decidemmo che forse sarebbe stato meglio rientrare a casa. Incazzati come iene e col fegato a pezzi, io, mia moglie e la Panda ormai giallo epatite, prendemmo la via del ritorno.
Giunti a casa, verso le 17, nella fresca penombra delle pareti domestiche e sotto una doccia ristoratrice, ci abbandonammo a una isterica risata liberatoria sognando spiagge deserte e mari meravigliosi.
Francesco Dotti (turista a caso)
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