Storie e personaggi nei ricordi di uno strano organizzatore
Attenti a quei due!
Colti, allegri e irriverenti, nel 1996 Stefano Caprina e Federico Sardelli giunsero al Campionato della Bugìa da curiosi ambasciatori del Sodalizio Mvschiato regalando genio e fantasia a molte altre edizioni
di Carlo Bartolini
Straordinario come una rara congiunzione astrale. Questo ancora penso dell’incontro con Federico Sardelli e Stefano Caprina (Capras) negli irripetibili anni in cui ho dato una mano, l’altra, i piedi, la testa e soprattutto il cuore come Direttore-artistico-tuttofare (sob!) del “Campionato Italiano della Bugìa”. Incuriositi ambasciatori del Sodalizio Mvschiato, arrivarono alla festa piastrese nel diluvio del ’96 omaggiandomi di un’amicizia profonda tuttora rivelatrice di connotati inediti e comunque diversi da quelli che celebrano Sardelli eccezionale musicista-fumettista e “Capras” valente grafico-umorista. Indimenticabili protagonisti di straordinarie edizioni della festa piastrese, da amici fraterni ancora si divertono a tratteggiare le umane debolezze sul palco della vita, trasformando i nostri difetti in storie assurde condivise con una risata che ridimensiona quanto, di sacro o profano, la vita stessa ci offre. Per questo ho pervaso i ricordi su “il Metato” della loro simpatia ben sapendo come, nel Sodalizio, sia imprescindibile baluardo il primo, e prezioso Camerlengo che vivacizza anche gli inevitabili momenti di stanca, il secondo.
Stefano Caprina (Capras) e Federico Maria Sardelli
Federico arrivava alla “Bugìa” con un’auto blu facilmente identificabile dalle decalcomanie dei “Poponi diacci marmati”, delle “Pere spadone” o da quella, enorme sul lunotto posteriore, indicante un “Divieto di sosta per movimentazione poponi”, e finiva sempre la sua partecipazione disegnando, ormai al tramonto, altre cosette simili ad alcuni giovani, immancabilmente presenti. Non ho mai saputo chi fossero né da dove venissero ma, pensando arrivassero per quel rito finale, mi avevano fatto capire che l’occasione era troppo ghiotta per non chiedere a Federico qualche vignetta per la sezione grafica. Lui, svolazzante nei lunghi riccioli vaporosi, ogni volta educatamente annuiva ben sapendo che mai avrebbe potuto mantenere l’impegno: troppi i concerti da dirigere con frac e calze rosse in omaggio a Vivaldi, troppe le lezioni di musica da tenere e troppi i fumetti da preparare per “il Vernacoliere”. Così quando dissi “Vengo a trovarti e mi disegnerai qualcosa sul momento!” accettò la sfida come una proposta liberatoria. Federico Maria Sardelli
Stefano Caprina (Capras)
Quella mattina del 24 luglio ’99, le scale della sua casa nel quartiere più fiorentino di tutti erano irte e strette come un viottolo di montagna, così quando lo vidi ad attendermi sul pianerottolo, cercai di trattenere l’affanno per l’ardua salita. Nella sala i flauti, rigorosamente allineati nelle bacheche di legno, assistettero al nostro saluto e quando mi volsi, incrociai lo sguardo dei tanti personaggi dipinti, appesi sul muro, che ci osservavano da cornici stupende. Erano i ritratti di Bernini, Voltaire e altri luminari che subito, non avevo riconosciuto. Notai, invece, la bella libreria stipata di tomi e mi complimentai, per sorprendermi nuovamente quando aggiunse “L’ho costruita io, come le vetrinette dei flauti”. Poi, scherzando, gli chiesi quale antiquario di San Frediano avesse depredato di tutti quei quadri antichi, e ancor più vacillai alla sua pacata risposta: “Li ho dipinti io…” disse. Rimasi seduto in mezzo a quegli sguardi importanti fin quando tornò dalla cucina, dove stava preparando “anche” il pranzo. In mano aveva una piccola tavoletta che non capivo cosa fosse “Li ho fatti con questi…” e poi, disorientandomi ancor più, aggiunse “…sono i colori primari e servono per ottenere tutte le sfumature”. Quei mucchietti di bianco, rosso, giallo e celeste aggrappati come naufraghi al pezzetto di compensato dalle mancate sembianze di una tavolozza, sprigionavano un’irresistibile magìa; a essi si aggiungeva, solitario e in disparte, un mucchietto di verde che lui prontamente motivò “…quello l’ho comprato perché me ne serviva un bel po’ per il ritratto di Checche, con la fascia tricolore da Sindaco!”
Prima di sedersi al minuscolo tavolo che, davanti alla finestra, si apriva sul vocìo della strada, sorridendo, mi confessò “…sai cosa rispondo quando i genitori dei miei allievi di Musica ossequiosamente mi domandano se sono parente del Sardelli che disegna sul Vernacoliere? Falsamente indispettito faccio un cenno di diniego e cambio discorso!...". Poi accese lo stereo e, sulle note di Vivaldi, strappò il foglio lungo la piega; vergò la carta con veloci e leggeri tratti di matita per poi ripassarli, arricchiti nel segno, intingendo nella minuscola boccetta di china, un pennino di antica memoria miracolosamente fissato al mozzicone di un’altra matita, sbocconcellata in cima. La chioma fluente ormai ondeggiava di musica nei riccioli vaporosi e sembrava guidare la mano mentre colorava, sfiorando con il rosso e il blu di una datata matita bicolore, gli agognati disegni che avrei esposto, trionfante, a Le Piastre nella minuscola piazza, in mezzo al paese.
Stefano Caprina e Federico Maria Sardelli, al XXI° Campionato della Bugìa di Le Piastre (PT)
Attestato di partecipazione (fasullo) al XXI° Campionato della Bugìa del Sardelli
Stefano Caprina al Campionato della Bugìa
Quella domenica d’agosto del ’98 faceva davvero caldo in autostrada ma Stefano, sua moglie, Giorgio e il figlio Edoardo erano immancabilmente in viaggio verso la “Bugìa”; poi, pensando a Federico che doveva arrivare da Firenze, interruppero la monotonia dell’assolato tragitto, telefonando per sentire dove fosse. Quello piastrese era un appuntamento imprescindibile per la loro amicizia di Sodali poiché costituiva un motivo fondamentale per ritrovarsi di nuovo, tutti insieme; ma al telefono, il volto di Giorgio si crucciò d’improvviso e “…sappi, che questa la pagherai cara!” sentenziò prima di chiudere definitivamente la comunicazione. Poi rivolto a Stefano, che gli sedeva accanto “Ha detto… martedì ho un concerto in Sicilia… voi sapete quanto temo i viaggi in aereo e così… mi dispiace… ma parto oggi, in macchina… anzi, scusatemi anche col Bartolini…”
Stefano Caprina (Capras), caricatura automobilistica del Sardelli
Alla cena, dopo la festa, i camerieri fremevano impazienti di sparecchiare quando Giorgio si alzò in piedi, richiamando l’attenzione con un battito di mani. Poi, nel più assoluto silenzio, disse “Quella di oggi è stata una Bugìa stupenda… però, qualcuno ci ha tradito!”. Stefano gli andò vicino al centro della stanza, mentre i commensali si guardavano esterrefatti e inquieti, con i dubbi di mille perché. Nella sala si diffuse una musica solenne e gli sguardi si fermarono sul drappo tricolore che copriva qualcosa, in alto sul muro, alle spalle della bizzarra coppia. Da sinistra, il Maestro Fremura, Caprina e Sardelli (in preghiera...)
Era tutta la sera che da lì incombeva, angosciante, sulla lunga tavola degli invitati, ma nessuno aveva osato scostare quel panno, né chiederne spiegazioni. Quando la musica cessò, Giorgio riprese con enfasi il discorso “A tradirci è stato Federico Maria Sardelli che, impunemente, oggi non è qui con noi!”, poi continuò “Così per condannare il suo grande affronto al popolo della Bugìa, con l’autorità conferitaci dal Sodalizio Mvschiato, lasciamo in pegno al vostro paese e più precisamente al Bartolini che ne sarà depositario, questo…” a quelle parole, con la complicità di Stefano, fece imperiosamente scivolare giù il drappo e, finalmente, fra gli applausi, si scoprì… il quadro! Era di Federico che lo aveva dipinto per una strana mostra, ma per la casualità (o meno) delle circostanze, la bauliera dell’auto di Stefano lo aveva portato fin lì, dove tutti adesso ammiravano l’improbabile ritratto di Checche, con la fascia tricolore da Sindaco.
Federico M. Sardelli - Ritratto di Checche
Il dipinto fu staccato dal muro e, consegnandomelo, il Borzacchini ufficialmente sentenziò “Il traditore, l’infimo Federico Maria Sardelli, per riprendere questo quadro, dovrà venire a Le Piastre il 13 gennaio, giorno di Sant’Ilario, patrono del paese e, nella neve, scalzo e inginocchiato sui ceci armeni, chiedere pubblicamente perdono del suo misfatto!”
Nel ristorante avevo pensato a uno scherzo di pochi minuti, tanto per continuare nel segno della “Bugìa” pomeridiana; invece, quando tutti furono andati via, percorsi la discesa verso casa con il prezioso lascito sotto il braccio. Imbarazzato, mi frullavano nella testa dubbi e timori “Ma davvero avrei dovuto tenerlo lì? E poi… per quanto tempo? E se a Federico fosse servito, come faceva a riprenderlo con tutti i suoi impegni? O magari lui veniva, e io… mica abitavo lì tutto l’anno! E se l’avesse presa con me perché avevo tenuto il quadro?”. Comunque, dovevo chiamarlo e quando il mattino seguente gli telefonai sapeva già tutto. Che, fortunatamente, l’aveva presa bene lo capii quando, alla fine, gli scappò un ghignante quanto inconfondibile “…Maledetti!”. Il quadro rimase in casa di mia zia ben oltre la neve di Sant’Ilario; così venne l’estate e con essa la “Bugìa” del ’99 a cui tornò anche Federico trovando esposte nella piazza le vignette che mi aveva disegnato il mese prima a casa sua; poi, sul palco, senza nessuna penitenza ché in fondo quell’anno sabbatico era stato una pena sufficientemente lunga, riebbe anche il quadro. Finita la festa, lo chiuse nella bauliera della sua auto con cui stavolta era precauzionalmente arrivato insieme a Tommaso; e poi via, al ristorante per festeggiare Fremura in quell’edizione stupenda. Dopo gli abbracci partirono tutti e già mi stavo incamminando verso casa orfano del gruppo di amici, quando Beppe, il proprietario del ristorante, mi richiamò “Carlo, hanno lasciato questo per te!…” disse chinandosi dietro al bancone del bar da cui sollevò, porgendomelo trionfante, di nuovo… il quadro! “…è stato il ragazzo di Firenze, quello coi riccioli… come si chiama?… Sì, lui… Tommaso!”. Ricordai allora quando, a metà della cena, il malandrino aveva chiesto a Federico la chiave dell’auto per prendere la maglia, ché aveva freddo; ma nella bauliera, con quella scusa e d’accordo con Stefano, il furfante aveva preso anche il dipinto, lasciato poi a Beppe con la solenne promessa di consegnarmelo quando fossero stati ormai lontani. Così puntualmente era avvenuto e il giorno dopo telefonai di nuovo a Federico che “…Stramaledetti!” ghignò ancora, mentre l’impertinente ritratto di Checche, con tanto di fascia da Sindaco, rimase un altro autunno, un altro inverno e un’altra primavera gelosamente custodito da mia zia. Poi, con l’estate tornarono la “Bugìa” del 2000 e anche Federico che, seppur mi fossi abituato a vedere alle Piastre l’enigmatico sorriso di Checche, si riappropriò del maltolto. Cercai di convincerlo a lasciarmelo ancora un po’, ma a nulla valsero quelle suppliche tant’è che lui, sorridendo, mi rispose “Quando torni a trovarmi, sono disposto a darti qualsiasi altro quadro… ma questo no!”.
Il dipinto di Checche, sul palco della Bugìa
Nel ’95, a divulgare il ritorno della “Bugìa” ci aveva aiutato Lucia Prioreschi, l’amica giornalista entusiasta della nostra montagna che ebbi la fortuna di conoscere alla cena di Casamarconi dopo la festa, e che continuai ad apprezzare arrivando alla redazione pistoiese de “Il Tirreno” con il fiatone per l’interminabile scalinata. Purtroppo rimase con noi solo pochi anni e quando ci lasciò orfani del suo bonario sorriso, mi fu facile ideare il premio a lei intitolato; lo proposi al caposervizi Alberto Vivarelli che, con gli occhi lucidi, mi rispose “Lo assegneremo al bambino più bugiardo… a lei piacevano tanto!”. Anche Cosimo e Tommaso erano saliti sul palco della mia prima “Bugìa” e, con la loro esuberante gioventù, avevano portato una ventata di gioiosa simpatia nell’affollata piazzetta del paese. Quando, con i saluti, ci demmo appuntamento all’anno seguente, le ombre della sera si erano ormai allungate silenziose a cancellare i profondi dubbi e le grandi incertezze di noi, inesperti organizzatori. Mantennero comunque la promessa e la proverbiale domenica del ’96, entrarono nel flagellante diluvio giungendo da Cortina, dove erano in vacanza. Rimasero con noi tutto il giorno familiarizzando poi, durante la cena, con Federico, Stefano e Checche di cui portarono via il ricordo dell’estemporanea declamazione da novello dottor Zivago.
Stefano Caprina, Federico M. Sardelli e, a sinistra sullo sfondo, il Maestro Alberto Fremura, durante una cerimonia del "Sodalizio Mvschiato" Del racconto che segue mi erano giunti da Stefano echi incerti, approssimativi e apparentemente favoleggiati ma a Firenze, quella calda mattina del luglio ’99 in cui mi consegnò i bramati disegni da esporre a Le Piastre, fu Federico a farmi capire che se “il destino mescola le carte per farci giocare”, il gioco di Tommaso era cominciato quando la sorte aveva inventato il diluvio in cui conobbe Federico, Stefano e Checche. Poco tempo dopo quella memorabile cena, li aveva infatti invitati alla serata di gran gala in cui suo padre presentava l’autore delle sculture generosamente collocate nel giardino della loro villa, sulle colline fiorentine. Si presentarono al cancello del parco all’imbrunire e il mazziere così li annunciò “Federico Maria Sardelli, direttore d’orchestra ed esperto di musiche vivaldiane!”, “Igor Chekovskij, musicista e compositore ucraino!” (il nostrano Checche di Montenero), “Giorgio Cavedàni, docente di lingue straniere all’Università di Pisa!” (Stefano). Era stato Tommaso a ribattezzarli passando quei nomi all’imperturbabile nocchiero che, deferente, aveva indicato la villa alle sue spalle; così, mentre le torce illuminavano il loro inquieto e sorpreso incedere sulla ghiaia del parco, qualcuno nel bizzarro terzetto, pensò “…stavolta è davvero andata!”. Fra i convenevoli e i sorrisi dei numerosi invitati, venne loro incontro Tommaso che richiamò l’attenzione del padre presentando quegli ospiti, tanto illustri. La serata trascorreva tranquilla nella soffusa musica di sottofondo, fra il garbato discorrere degli importanti commensali vicino ai tavoli ricolmi di libagioni e le discrete risatine delle signore quando, all’improvviso, il padre di Tommaso chiese un attimo di attenzione. Poi, nel più assoluto silenzio invitò accanto a sé lo scultore motivo dell’importante raduno e lo presentò entusiasticamente agli intervenuti, fino allo scrosciante applauso finale. Gli omaggi del padrone di casa sembravano finiti, ma invece continuò “Ringrazio le numerose autorità e i tanti personaggi che hanno voluto onorarmi della loro presenza però questa sera, un doveroso ringraziamento, lo devo anche a mio figlio che ha portato fra noi Federico Maria Sardelli, direttore d’orchestra ed esperto di musiche vivaldiane; Igor Chekovskij, musicista e compositore ucraino e Giorgio Cavedàni, docente di lingue straniere all’Università di Pisa”. Un altro applauso si levò alto nel cielo di quella sera stellata, prima che continuasse “Pertanto invito queste tre celebrità a venirmi vicino, per onorarci con un saluto!” e giù, di nuovo un applauso. Ricordo ancora la faccia stranita di Federico nel raccontarmi quell’inatteso momento di notorietà e non mi è difficile pensarla come quelle, allora, altrettanto inquiete e sorprese di Stefano e Checche. A ogni modo, risposero all’improvviso invito e si presentarono doverosamente sulla scena. Per Federico (il più fortunato, perché Tommaso gli aveva lasciato vero nome e ruolo) tutto fu facile, ringraziò dell’attenzione congedandosi dagli astanti con parole di circostanza; ma quando fu la volta di Checche, si guardarono imbarazzati e dubbiosi, prima di riuscire a dire “Purtroppo, l’amico ucraino non parla la nostra lingua…”. Credevano di aver risolto tutto con quella scappatoia e, invece “…questo non è certo un problema vista la presenza del professor Cavedàni, celebre poliglotta!” aggiunse ancor più entusiasta il padre di Tommaso.
Checche, mentre interpreta Igor Chekovskij
Un brivido insolente e beffardo corse loro lungo la schiena e mentre vedevano crollare ogni certezza di averla fatta franca, tornarono con la mente a Le Piastre, alla sera in cui l’impavido Checche sorprese i commensali della cena bugiarda, con gutturali fonìe da novello dottor Zivago. Per la spietata legge dei numeri, si domandavano come potevano uscire indenni da quella situazione se già lassù, con pochissimi commensali, c’era stato chi era riuscito a smascherare l’avventato ucraino del loro amico.
Comunque, sedettero al malefico tavolo del destino e cominciarono a giocare.
Igor Chekovskij iniziò, con enfasi, la sua titanica impresa, mentre Stefano traduceva, imperterrito e in simultanea, gli improbabili concetti di quello sconosciuto e improvvido proclama, “Il maestro Chekovskij è felice di partecipare a questa serata fiorentina e… ringraziando della generosa ospitalità… spera di poterla ricambiare, un giorno… mettendo a vostra disposizione una slitta e… la sua dacia, nella steppa sconfinata… ancor più stupenda nel lungo e freddo inverno ucraino!”. Poi, quando gli applausi assunsero i definitivi connotati del trionfo, si guardarono intorno increduli per non aver trovato qualcuno che, con incedere sicuro, avesse messo fine all’incauta esibizione. Con somma invidia di Federico, nel successivo e cordiale pubblico discorrere, Checche fu addirittura contattato per un concerto nel senese ma, puntualmente tradotto da Stefano, declinò il cortese invito con la scusa dell’imminente ritorno nelle sue gelide terre d’origine.
Federico M. Sardelli, Carlo Bartolini e Stefano Caprina
La serata volgeva ormai al termine quando, di nuovo una signora, si presentò al loro cospetto e con deferente discrezione chiese ”…ma quel discorso era davvero in ucraino? A me pareva…”. Sul viso di Checche si dipinse, improvvisa, una smorfia; poi tenendosi la pancia con una mano come il Necchi nella scena del vasino in “Amici miei”, si rivolse sottovoce a Stefano che prontamente le rispose “Scusi… il Maestro ha un bisogno impellente…!” Finirono così quell’insolita serata e il racconto di Federico nella sua casa fiorentina. Poi ci fu l’occasione di svelare tutto a “Segreti e bugie”, la trasmissione di RAIUNO condotta da Raffaella Carrà e Michele Cucuzza, il sabato sera: da organizzatori della festa piastrese eravamo invitati a svelare una recondita bugìa ma, dopo aver interpellato i protagonisti dell’irriverente orditura, andammo in diretta con i personaggi di un’altra vicenda. Federico e Stefano preferirono infatti lasciare rispettosamente inalterata, nel ricordo degli ignari padroni di casa, l’illusoria soddisfazione della visita di un celebre direttore d’orchestra, di un grande musicista ucraino e di un altrettanto famoso interprete pisano…
da "Le avventure di Sciàron e Zulèika", di Stefano Caprina (o Capras, che dir si voglia)
…è stato un bel MERDAF: sempre più anziani, sempre più decimati, sempre più prossimi alla morte ma ugualmente coglioni & lieti.
Federico Maria Sardelli, 20 Marzo 2013
Nel 1996 giungemmo a Le Piastre ove il Bartolini, sua madre e la zia ci rifocillarono con salumi Baluganti e fresca Orangina. Con un patto di satira ci giurammo amicizia perché era destino fondere un sodalizio che, nonostante perdite dolorose, ancora resiste. Lì abbiamo conosciuto personaggi fantastici che pensavamo solo nelle favole di montagna e il profeta Checche vaticinò bene “Vorrà dire che s’è fatto una bella girata…”. Ed era vero.
Il Camerlengo “Capras”, 12 Agosto 2016
Stefano Caprina, conosciuto col nome d'arte di “Capras”, è nato a Livorno nel 1955.Dopo gli studi in architettura, per un’innata creatività e grandi doti nel disegno ha intrapreso l’attività di grafico pubblicitario realizzando famosi loghi industriali e celebri campagne commerciali. Conosciute anche le sue ideazioni di calendari fra cui quelli della Pescheria Voliani di Livorno e quello del CRAL Breda di Pistoia e apprezzate le sue collaborazioni a pubblicazioni varie come, appunto, la copertina e il progetto grafico de “I campioni della bugìa”, il libro realizzato da Carlo Bartolini nel 1998. fonti:Direttore dell’orchestra “Modo Antiquo” (da lui fondata) è flautista di strumenti storici, compositore, pittore, incisore, vignettista, musicologo, ricercatore e concertista in prestigiosi festival di musica antica. Nel 1997 e nel 2000 suoi CD hanno avuto la nomination ai Grammy Awards (gli Oscar della musica) negli Stati Uniti. Scrittore dei libri “La Musica per Flauto di Antonio Vivaldi”, “Quaderni vivaldiani” e “L’affare Vivaldi” con cui ha vinto il Premio Comisso, è anche autore umoristico de “Il libro Cuore (forse)”, “Trippa”, “Proesie”, “I miracoli di Padrepio”, “Le più belle cartoline del mondo”, “Paperi in fiamme”, “Saggi di Metafisica neorazionalista” e “Rassegna stanpa”. Illustratore satirico dei libri del Borzacchini e di molti altri, collabora al Vernacoliere sin da ragazzino e, passando dalle vignette di Amelia e Corinna ai fumetti di Mago Afono, Omar, Clem Momigliano, il Bibliotecario, le Madonne, il Paglianti e l’Omino della Merda è diventato così noto che sono sorti suoi “fans club” in varie parti d’Italia. Nel 2015 ha ricevuto il Premio “Città della Satira” a Forte dei Marmi.