martedì 18 dicembre 2007

sabato 15 dicembre 2007

L'isola dei famosi

ANCH'IO VOLEVO ANDARE SULL'ULTIMA SPIAGGIA...
MA POI MI SONO ACCORTO
CHE C'ERO GIÀ...
(I ALSO WANTED TO GO TO THE LAST BEACH...
BUT THEN I NOTICED THAT
THERE WAS ALREADY ... )

"YOU HAVE BEEN APPOINTED!!"

giovedì 13 dicembre 2007

La “Sindrome di Seurat”


L’altra mattina mi sono trovato con alcune signore davanti alla cassa di un centro commerciale: la fila, lunghissima (come negli uffici postali), e la temperatura, piacevolmente fresca (al contrario che negli uffici postali), hanno favorito quel tipo di esercizio verbale che solitamente ha come palestra del linguaggio l’ascensore condominiale. Ebbene, stavamo disquisendo sugli ultimi italioti avvenimenti quando ad un certo punto, guarda caso, il discorso è andato a cadere proprio sull’acqua. I nostri amici lettori ora penseranno subito a quel liquido trasparente, senza odore né sapore, costituito per legge chimica dalla combinazione di un terzo di volume di ossigeno e due terzi di idrogeno e che, come ci assicurano, si può bere tranquillamente. E invece no. L’acqua in questione era, ed è, massimamente, quella che esce (a pressioni variabili e spesso improvvisamente interrotte) dai rubinetti adusti delle nostre abitazioni. Ho saputo così, dalle massaie incolonnate, dei bruschi cambiamenti che si verificano in una specie, mettiamo il caso una maglietta blu, in determinati periodi della sua esistenza. Quando cioè, essa maglietta, viene a contatto col biasimevole liquido che talvolta sgorga dai domestici tubi. Infatti, sotto certe condizioni, non è raro osservare l’originarsi di nuove specie, appartenenti pur sempre allo stesso genere “maglietta”, ma completamente nuove nel colorito: una teoria di puntini che vanno dall’amaranto scuro alla garanza rosa, virando inesorabilmente al bordò. Questa particolare forma di mutazione cromatica alla quale molti di noi rinuncerebbero volentieri, fu osservata per primo dall’americano Savage fra i popoli nomadi dell’altopiano dello Shansi, adusi a risciacquare i loro panni nelle acque limacciose dello Yang-tze (il Fiume Giallo) ed in seguito detta, da altri studiosi della materia, anche “Sindrome di Seurat” (proprio a causa della caratteristica scomposizione della tinta in altre perlopiù complementari, tipiche dei pittori divisionisti come, appunto, il Seurat). Una distinta signora della fila, consumata nell’arte delle domestiche virtù da lustri di costante e ininterrotta applicazione nei più svariati tipi di lavaggi a mano libera e a macchina, ci ha raccontato di alcuni fenomeni da lei rilevati allorquando, finita la fase del risciacquo, una mattina estrasse esanimi dal cestello della lavatrice alcuni capi di biancheria (le magliette del figlio terzino che milita in una società calcistica di infima categoria). Orrore!! Esse erano completamente mutate nel colore, rispetto alle primigenie introdotte poco prima! Quindi, dopo aver escluso eventuali proprietà cromatofore delle magliette, le quali, a differenza del ben noto camaleonte, pare non posseggano questa straordinaria e specifica qualità, la sua pluriennale esperienza l’indusse immantinente a rigettare probabili responsabilità non sul detersivo (peraltro lungamente collaudato), bensì sull’acqua, all’interno delle cui corrotte molecole andava invece ricercata la vera prova del delitto. In effetti, pur non esistendo prove certe, le sostanze di origine inorganica come per esempio il piombo, il rame, lo zinco, l’alluminio, il ferro ed altre ancora presenti nell’acqua (scusate il termine) e formatesi in seguito a processi di trasformazione geologica, potrebbero interferire con le tinte dei vestimenti penetrando all’interno delle fibre tessili e poi, attraverso un complicato procedimento chimico noto solo ai dipendenti degli acquedotti comunali, dare origine alle trasformazioni osservate dalla nostra amabile signora. E poi ci lamentiamo delle bollette! In fondo, con tutto quello che esce dai rubinetti, ci fanno pagare solo l’acqua!... D’altro canto si ha notizia che già nel periodo predinastico, in Egitto, l’ocra rossa, sostanzialmente costituita da ossido idrato di ferro e argilla, fosse uno dei pigmenti maggiormente usati e ricercatissimo da Greci e Romani. Questo non c’entra nulla con tutto il resto, ma lo dico per dimostrare che non sono né scemo né ignorante. Così, la nostra signora ha deciso, d’accordo con le altre massaie del rione, di studiare il fenomeno onde sintetizzare il rapporto esistente tra i vari colori ottenuti post-lavaggio e le gradazioni che ne derivano, stilando opportune tabelle parametrico-cromatiche per mezzo delle quali si potrà sapere, prima d’intraprendere un bucato, di che colore verrà dopo lavato. Ciò, è bene ricordarlo, oltre a rappresentare un valido ausilio per tutti coloro che si apprestano a cimentarsi in simili attività, potrebbe addirittura condizionare le nuove tecniche pittoriche ed essere uno spiraglio verso tutto ciò che coinvolge mutamenti del pensare umano denunciando molteplici legami tra filosofia, psicologia e arte.
Francesco Dotti

sabato 8 dicembre 2007

La battaglia di Ceppaloni - di Francescandro Dottanzoni

Da "Il Conte di Carmagnola" di Alessandro Manzoni, il coro "La battaglia di Maclodio", combattuta alle porte di Brescia nel 1427, tra le truppe dei Filippo Maria Visconti (Duca di Milano) e quelle della Repubblica di Venezia, comandate dal capitano di ventura Francesco Bussone (detto "Il Carmagnola"), che vinse la battaglia e impose le proprie condizioni al Duca di Milano.

Scoppia a destra, siccome una bomba
e a sinistra si leva un lapillo,
con Di Pietro protesta rimbomba
mentre spunta per l'aere un vessillo.

Il drappello che tosto schierato
porta seco la gente perbene,
di giustizia e rigore assetato
per l'avallo allo sconto di pene.

Chi son essi? Per caso gli aggrada
Il decreto del Guardasigilli
che rimanda i bricconi per strada?

Se siam fatti a sembianza d'Un Solo,
se siam figli, e non solo pupilli,
perché devi salvare un mariuolo
in onore di alcuni cavilli?





martedì 4 dicembre 2007

Stazzi di Gallura


Alcune immagini di un calendario sugli stazzi della Gallura, realizzato dal sottoscritto

domenica 2 dicembre 2007

sabato 1 dicembre 2007

Notizie dalla Gallura

Notizie flèsc còlte al volo per voi dal nostro corrispondente Gavino, articolista ammodino:

Consiglio Comunale:

Olbia (OT): Giovedì 28 febbraio, nell'aula consiliare di Poltu Quadu, si riunirà il Consiglio Comunale per discutere sul tema: "Masturbazione & adolescenza del gallo cedrone nel contesto del rinnovamento della DC, da De Gasperi a Gary Cooper".
L'incontro servirà ad evidenziare i gravi problemi di discriminazione che esistono all'interno di un partito inesorabilmente proiettato verso il suicidio storico.

Incontri:

L'A.S.D.D.M.D.P. (Associazione Sarda Donatori Di Mollica Di Pane) alle ore 17,30 di sabato 14 dicembre terrà una conferenza nei saloni del circolo per anziani "Poveri & Incazzati".
All'ordine del giorno si tratterà lo scottante tema: "Il castagnaccio, dall'Unità d'Italia alla caduta del muro di Berlino. Con le cozze o senza?" Moderatore dell'incontro il prof. Oreste Pistagnino, enfiteuta e docente di farmacologia enigmistica, nonché Accademico della Farina di Semi di Soia dell'Università di Filottrano.
Dopo un breve (anche meno) rinfreschino, i reduci potranno assistere nei sotterranei della nòvissima Biblioteca alla proiezione del cortometraggio: "Perché il prepuzio a volte puzza?"

Santa Teresa di Gallura (OT ex SS):

Il circolo culturale "Pègaso" organizza per domenica 16 gennaio (la mattina presto, sul fresco) la prima traversata a cavallo delle Bocche di Bonifacio.
L'idea, nata da un recente convegno sardo-còrso tenutosi nel municipio di San Pasquale Alto sul tema: "Le petroliere non passano più? Bene, allora siamo a cavallo!", sarà illustrata dall'ideatore della manifestazione, Rag. Ubaldo D'Unbalzo, redattore capo della rivista ecologica "Meglio foca che monaca".
Per le iscrizioni, rivolgersi alla segreteria del circolo, a Santa Teresa, via del Mare s.n.

venerdì 30 novembre 2007

Bischerate pericolose

Olbia



  Olbia - Basilica di San Simplicio (sec. XI-XII)



Olbia - Chiesa parrocchiale di San Paolo (sec. XV-XVIII)

Pistoia


Pistoia: Via Buozzi


Pistoia: il Mercato in Piazza del Duomo

Olbia


 Olbia: il Faro (acquerello)





Olbia: il palazzo comunale di Corso Umberto (acquerello)

Caccia




 

Scene di caccia (disegno a penna biro, marca "Bic")
Cari Amici, per evitare che mi copiassero le immagini ho dovuto proteggerle!

mercoledì 28 novembre 2007

Da Big Gion ricevo e, a malincuore, pubblico

Da che pulpito…

è un vecchio detto che trova sempre la sua locazione in fatti, personaggi e avvenimenti di ogni tempo e ogni dove. Io conosco un “tipo” , un personaggio che dall’alto delle sue logiche e condizionato dai suoi timori e dalle sue chimere va sempre predicando e somministrando consigli e metodi di vita a tutti quelli che non agiscono, pensano, mangiano,… vivono come lui.
Amante della natura e delle cose sane e semplici; sempre in giro con le sue macchinette fotografiche (oggi digitali), spesso sembra una Zia Vecchia di quelle che ti raccomandano di metterti la maglia di lana quando fa freddo.
Non mangiare questo, ti fa male; non fumare troppo, dovresti smettere; non bere quello… non fare quello… non… non… non… “non rompere le balle” la tipica risposta mia alle sue supposte convinzioni. In fondo un bravo ragazzo, con molte insicurezze e tanta voglia di socializzare che alla fine rasenta l’essere palloso!
Tempo addietro la sua tiritera più frequente era indirizzata a quelli, che come me, passavano le giornate davanti al PC, pionieri tecnologici che sperimentando novità e navigando in Internet si dimenticavano del mondo circostante. Non poteva sopportare che una persona potesse “perdere” delle ore preziose della propria vita seduto comodamente davanti ad un giocattolo elettronico anziché vagare per le campagne e le scogliere respirando a pieni polmoni la salubre aria salmastra della nostra terra.
Dichiarava e criticava apertamente questi modi di vivere da cavernicoli moderni fin quando un giorno, spinto da necessità giornalistiche e curiosità infantile, un computer, un Mac Classic in bianco e nero credo di ricordare, entrò nella sua casa … e nella sua vita. L’inizio inconscio della rivoluzione.
Con tutte le difficoltà tecniche e le riserve mentali riuscì a farlo funzionare e bisogna dire che ancora oggi c’è gente che ne capisce meno di lui… e questo è tutto dire. Il Mac veniva liberato dalle sue calotte antipolvere plastificate e acceso solo per qualche istante e solo in determinati momenti, solo per uno scopo prefissato e non oltre i tempi necessari ad un minimo riscaldamento …. ma il suo destino era vicino ad una svolta epocale e così fu che arrivò un nuovo PC, più moderno e adatto alle sue crescenti necessità: l’iMac, colorato, simpatico, piu’ veloce… e poi il G5, il mostro della Apple… e poi ancora alla scoperta di nuovi mondi: un PC HP-Pavillon dual-core XP designed… tutti ancora oggi perfettamente funzionanti. Così come la Playstation PS1 (modificata), le Stampanti, gli Scanners, le Tavolette grafiche, le Drive-pens, Gli Hard Disks portatili ( notare che parlo sempre al plurale…).
Ad onore del vero, visti i suoi lavori rapportati alle sue incompetenze informatiche, le sue innate capacità artistiche, la sua caparbietà e non ultima la sua intelligenza, i risultati gli danno ragione, ma è proprio il caso di dire:
…da che pulpito “venivano” le prediche …
Big Gion

p.s. se lo volete conoscere basta visitare il suo blog:….. questo!!!!!.

martedì 27 novembre 2007

Indulto

Ieri sera, quando sono andato a letto, ho riflettuto a lungo sulla situazione della sorella di Celentano che, tra l’altro, ha anche il lavandino intasato. Effettivamente, come il Molleggiato afferma, non è per niente buona. La situazione.Me lo aveva già detto tempo fa un mio prozio di Sessa Aurunca di Sotto, prima che lo arrestassero per non avere esposto il disco orario. Lo aveva incastrato un ausiliario del traffico, abusivo e travestito da lavavetri. Condannato, prima a tre anni e poi a sei perché recidivo (aveva parcheggiato il motorino sulle strisce pedonali), il prozio di Sessa Aurunca di Sotto si aspettava di scontare la condanna in un residence di San Benedetto del Tronto. Ma il giudice, inflessibile, gli disse che nei residence di San Benedetto del Tronto ci può andare solo chi, ubriaco o con un tasso alcolico da cantina sociale, investe e ammazza almeno quattro persone. Così fu spedito ad Alcatraz. Per i primi mesi, anche se con notevole sacrificio, siamo andati a fargli visita. E per noi, che partivamo da Napoli, non era, come si dice, proprio “dietro l’uscio”: il viaggio lungo, gli aerei non sempre in orario perché gli equipaggi qualche volta venivano rapinati per strada e poi, quando finalmente giungevamo a San Francisco, spesso perdevamo il battello per “The Rock” perché ci fermavamo a parlare con Clint Eastwood che scappava inseguito dalle guardie. Una volta, per colpa nostra, lo hanno anche acchiappato e dal quel momento, per non fare brutte figure con gli americani perché può essere pericoloso, abbiamo deciso di aspettare che il prozio fosse scarcerato e non andammo più a fargli visita.
Scontata la pena e rientrato al paese natìo, giorni fa ci ha telefonato e ci ha raccontato che alcuni famosi pubblicitari lo hanno contattato per sponsorizzare un decongestionante per la prostata e una nuova linea di adesivi per dentiere. Ma non appena venuti a conoscenza che non aveva ammazzato nessuno, sono subito andati a cercare qualcun altro in un residence a San Benedetto del Tronto.
Francesco Dotti

venerdì 23 novembre 2007

Ferrovie sarde



la foto di uno degli ultimi modelli di treno, rimesso a nuovo, e circolante in Sardegna
              

Quando sono dovuto andare in treno da Olbia a Cagliari ci ho messo, giorno più giorno meno, almeno quattr'ore. Col maestrale a favore...
E altrettante ne ho impiegate per il ritorno.
E pensare che sono circa 300 km scarsi!
Un giorno mi sono stufato e, per fare un dispetto alle ferrovie, ho acquistato un biglietto di andata e ritorno da Olbia a Cagliari. Ma non sono tornato. 

Così la prossima volta imparano!
Francesco Dotti

Lotterie di Stato

Ho letto da qualche parte che un pensionato di Napoli s’è venduto la dentiera per giocare il 53.
Che non è uscito. Almeno il giorno che lo aveva giocato lui.
Mi raccontava un mio prozio di Poggio Murella che un suo vicino di casa era solito dormire sulla porta del tabaccaio per essere il primo, quando apriva la tabaccheria, a prender posto davanti alle macchinette mangia-soldi. Se le faceva tutte! Poi, prima di pranzo, si faceva anche un paio di gratta-e-vinci per aperitivo e, tre volte alla settimana, per non andare in crisi d’astinenza, il medico di famiglia gli aveva prescritto tre giocate settimanali al superenalotto.
Non ha mai vinto un cazzo ed è morto povero.
Fai anche tu come il vicino di casa del mio prozio di Poggio Murella: tenta la fortuna,

for my english supporters again:

State lottery
I read somewhere that a pensioner of Naples has sold dentures to play 53.
What is not released. At least the day that he had played.
I told my great-uncle of Poggio Murella that his next door used to sleep on the door of the tobacco store to be first, the tobacco when opened, to take place before the machines rob-money. Where did all! Then, before lunch, it was also a couple of scratch out-and-win to drink and, three times a week, not to go into crisis abstinence, the family doctor had prescribed three played weekly in superenalotto.
He has never won a cock and died poor.
Make you as the nearby home of my great-uncle of Poggio Murella: try your luck,

y por los amigos spagnolos

Lotería del Estado
Le dije a mi tío abuelo del Poggio Murella que su vecino utiliza para dormir en la puerta de la tienda de tabaco a ser en primer lugar, el tabaco cuando se abre, que tendrá lugar antes de las máquinas mangia - soldi. Cuando lo hicieron todos! Entonces, antes del almuerzo, también es un par de gratta - correo vinci para beber y, tres veces a la semana, y no entrar en crisis de abstinencia, el médico de familia ha desempeñado prescrito de tres semanales en superenalotto.
Nunca ha ganado un martillo y murió pobre.
Haga usted como la cercana casa de mi tío abuelo de Poggio Murella: probar su suerte,

giovedì 22 novembre 2007

Dall'incontro di Enrico Letta con Renato Soru (luglio 2006)


mi rendo conto che è un pensierino po' vecchiotto, ma resta sempre attuale.
Non fosse altro che per la... vaselina.
Intanto, hanno messo la tassa sul "lusso"
per chi ha una casa in Sardegna!

Il sabato del servaggio

di Frangiacomo Dottopardi


Enrico Letta è giunto qui in Sardegna,
allo spuntar del sole,
per parlare con Soru; e reca in mano
sgravi fiscali e un sacco di parole,
onde, siccome suole,
prometter poco costa,
dimani, sovrimposta e… vaselina

A.A.A. Testimone oculare cercasi



Nell’insieme delle attività produttive come fenomeno sociale, la nuova professione del testimone oculare® richiede serietà e competenza

La nostra storia ha origini prettamente italiote in quanto le strade di molte città del Belpaese, si sa, sono letteralmente disseminate di buche di ogni profondità e dimensione. In certi casi, come per l’alpinismo, si potrebbe parlare addirittura di “gradi” di difficoltà! Capita spesso, quindi, che qualche malcapitato viaggiatore, malgrado nella sua carriera di utente rotomunito abbia più volte tentato di acquisire l’esatta topografia di queste subdole insidie stampandola nella memoria, prima o poi vi incappi e ineluttabilmente vi finisca dentro, con le conseguenze che molti di noi conoscono. Ed è proprio quanto tempo fa è successo ad un attempato signore - il cui nome per pyetà e privacy omettiamo -, che una calda domenica di luglio, al ritorno dal mare, complici la distrazione, il sole negli occhi e magari la sciocca presunzione delle proprie capacità mnemoniche, finì con una ruota dell’automobile dentro uno di questi “trabocchetti”. Dopo i primi attimi di comprensibile smarrimento, seguiti da una impercettibile enfiagione epatica, scese per verificare l’entità dei danni e pensò bene di perpetuarne l’immagine nei particolari più minuziosi. Agguantata dunque la fedele macchina fotografica, che per l’occasionale gita aveva seco recato, scaricò più di mezzo rullino sul corpo del reato inquadrandolo da tutte le angolazioni: macchina con buca; primo piano di buca senza macchina; mezzo busto della moglie con un ciclista di passaggio finito nell’inquadratura; campo lungo con buca, macchina, ruota e panorama circostante (per consentire un’immediata identificazione della zona del misfatto); “piano americano” di buca singola con ruota; “trequarti” di sola ruota con buca singola; macchina di fronte con targa, ruota, moglie e buca.
Avrebbe voluto farsi scattare dal cicloturista anche una foto di gruppo con la moglie, la macchina e la ruota tutti dentro la buca, ma egli, ahimè, era già scomparso pedalando all’orizzonte. Tornato a casa, il giorno stesso scrisse una bella lettera indirizzata al sindaco ed agli altri organi competenti in buche & affini, e il lunedì seguente andò dal gommista di famiglia per una stima dei danni subìti, facendosi rilasciare un preventivo di spesa. Confezionò il tutto e, come prescritto, presentò il plico all’ufficio protocollo in attesa di una risposta. Pochi giorni più tardi il postino recapitò al nostro incauto utente della strada una raccomandata del Comando dei Vigili Urbani i quali confermavano, in seguito al sopralluogo effettuato, che la buca c’era e che verosimilmente poteva essere stata la causa dei danni che lui affermava di aver patito, ma che di questi ultimi si sarebbe occupata l’assicurazione convenzionata con il Comune.
Nel frattempo le ferie estive erano alle porte, il richiamo del sole e delle spiagge erano troppo forti e irresistibili per vagabondare inutilmente tra le burosaurocrazie comunali e poi, non dimentichiamolo, girare in macchina d’estate per le città di mare è come pretendere di entrare in un supermercato a fare la spesa con un TIR. Quindi, l’attempato signore pensò che se avesse rimandato di qualche giorno il suo reclamo non sarebbe stata la fine del mondo. Credendosi munito dei sufficienti conforti (trascurando quelli religiosi, ritenuti superflui), si recò negli uffici della compagnia assicuratrice e qui scoprì amaramente di non essere dotato di un “testimone” regolamentare ma, soprattutto, “oculare” che, ahimè, nella sua sciagurata gita marina aveva omesso di portare con sé. Niente testimone, niente pagamento dei danni, sentenziò grave il perìto della compagnia. Così, da quel giorno, pensò di adottarne uno.
In fondo, c’è chi ha un cane o un gatto o la badante; e allora, che male c’è ad avere un testimone? Perciò, fai come quel signore: adotta anche tu un “testimone oculare®”, non si sa mai...
Francesco Dotti

mercoledì 21 novembre 2007

Napoli: il fumo fa male

Nell'abbiocco postprandiale pomeridiano stavo riflettendo sulla brillante "trovata" dell'assessore all'Ambiente del Comune di Napoli che ha pensato di vietare il fumo nei giardini pubblici. A scanso di equivoci, diciamo subito che fumare fa male, e soprattutto non è bello che anche chi non ha questo esecrabile viziaccio debba per forza respirarne i mefitici vapori, tanto più se si tratta di bambini o di signore in attesa. Una lontana prozia di Castiglion Fibocchi, morta investita sulle strisce pedonali da un motociclista ubriaco e senza casco (di nazionalità incerta) mentre andava a ritirare la pensione, mi raccontava che lei, per esempio, quando fumava la pipa ai giardinetti, lo faceva tranquillamente in presenza dei nipoti - ancora oggi tutti vivi e vegeti, meno uno, arso vivo dalle braci della pipa che la distratta prozia, inavvertitamente, tra un punto catenella e l'altro, gli aveva svuotato nella carrozzina -, così poteva dedicarsi al suo vizio preferito comodamente seduta sulla panchina mentre ricamava i centrini per i parenti.
Oggi ci informano che fumare ai giardinetti, a Napoli, è un grave delitto. Più grave che dar fuoco ai cassonetti della spazzatura o alle buste di "monnezza" accatastate per la strada.
Può darsi. Nel frattempo non ci resta che attendere la prossima ordinanza, con la speranza che l'assessore permetta di fumare solo a chi è munito di regolamentare eco-pipa catalitica o, in caso di austerity, a polmoni alterni: giorni pari polmone destro, giorni dispari polmone sinistro.
Francesco Dotti

martedì 20 novembre 2007

Gli Assiri a Olbia?


Scoperta una tavoletta di trachite che porta la firma di Nabucodonosor. L'importantissimo reperto potrebbe addirittura rivoluzionare l'Antico Testamento.

Olbia, dal n.c. Francesco Dotti

Un archeologo russo, il prof. Gregoriàn Mìrskij dell'Università di Taganròg, città natale di Cèchov, ha recentemente ritrovato in una località imprecisata nei dintorni di Olbia una tavoletta di trachite sulla quale era incisa, in ebraico antico e sumèro, la storia dell'assedio di Betulia, antichissima città della Palestina a metà strada fra Tiro, Damasco e Gerusalemme. La scoperta, che a dir poco ha del prodigioso, potrebbe addirittura rivoluzionare l'Antico Testamento. 
Il prof. Mìrskij, prima di ripartire per la Russia, ci ha gentilmente lasciato una prima traduzione del manoscritto, da lui stesso effettuata, dichiarandosi disposto a farla pubblicare sul nostro blog. E noi la riportiamo qui di seguito. 

 
Il libro di Giuditta


In quel tempo Nabucodonosor, re degli Assiri, abitava a Ninive, in pieno centro storico, in una casa dell'Inps a fitto bloccato di ben 250 cubiti quadrati (il cubito è una misura lineare pari alla lunghezza del gomito, corrispondente a circa 44 cm ndr) e piena zeppa di persiane. Quando però le genti della Galilea, invidiose del suo stato, si unirono a quelle di Damasco e della Samaria per fargli dare lo sfratto, Nabucodonosor si incazzò come una iena e giurò di sterminare tutti: Arfaxad, Ariac, tutti gli abitanti di Moab, i figli di Ammon, Jovanka e le altre, i Magnifici Sette, Rocco e i suoi Fratelli, Crik e Crok, Gianni e Pinotto e qualche altro. Dopo diciassette anni di guerra, giorno più giorno meno, vinse tutti, si dette alla pazza gioia e pagò da bere a tutta la compagnia. Intanto i giorni passavano, monotoni, tra banchetti, spuntini e sagre campestri e Nabucodonosor si annoiava a morte.
«Uffa, che palle!» si lamentava. «Ho vinto tutti: Arfaxad l'ho abbuffato di frecce come un puntaspilli, Chalud si è preso un tal cofano di palate che se lo ricorderà per un pezzo, i figli di Ammon sono ancora in ospedale. Ora voglio sterminare qualcuno!»
Così chiamò Oloferne, l'unico generale persiano con la licenza media, e gli ordinò di riempire le valli di cadaveri, poi, con quelli che avanzavano, di riempire anche i fiumi e i laghi vicini. Oloferne, che aveva un caratteraccio e si apprestava a fondare un nuovo partito che stava all'opposizione, non se lo fece ripetere due volte. Prese i cammelli e i gazebo e partì. Siccome era anche dispettoso, quando incontrava qualcuno che gli era antipatico innanzitutto lo faceva firmare al gazebo, poi lo sbrindellava e subito dopo lo faceva passare per la cruna d’un ago ancor prima del cammello perché il buco era più stretto. Infine, radeva al suolo le città, incendiando, per rilassarsi, qualche tenda e qualche villaggio qua e là, seminando terrore e morte al suo passaggio. Sterminando sterminando arrivò con l'esercito sulla costa, e in barba ai piani paesistici costruì un villaggio turistico abusivo con tremila posti barca per soli ricchi. 

Gli affari andavano bene, la Regione assira, poi, che non si era ancora riusciti a capire se fosse di destra o di sinistra, non lesinava certo i finanziamenti. Bastava pagare, e i permessi arrivavano in giornata. Oloferne, però, da uomo d'azione qual era, non sopportava l'idea di restare inattivo, e così un sabato sera, al ritorno dalla strage della discoteca, aiutato anche da qualcuno dei popoli che aveva sottomesso, pensò di assediare Betulia. Così decise di mandare le sue truppe a presidiare le sorgenti che fornivano d'acqua la città e ne bloccò tutte le vie d'accesso. In breve, a Betulia gli abitanti che non avevano una riserva idrica e l'autoclave cominciavano a risentire dell'assedio, e Ozia, capo anziano della città, figlio di Mica e padre dei Vizi, cercò di calmare il suo amato popolo convincendolo ad aspettare ancora qualche giorno prima di intraprendere qualsivoglia reazione e decidere il da farsi. Se, trascorso questo termine, nessuno fosse giunto in loro soccorso, allora si sarebbero arresi ad Oloferne. Intanto in città viveva una vedova, ancora nel fiore degli anni, di nome Giuditta. Era una bonazza assatanata da far paura che aveva sfiancato il marito, che pare non fosse neppure l'unico, a suon di sesso. Per questo motivo aveva deciso d'inventarsi parrucchiera in casa dedicandosi, quando poteva e cioè sempre, anche a massaggi particolari. Per far questo aveva messo degli annunci erotici sul Gazzettino di Galilea, e non passava giorno che qualcuno non le telefonasse per richiedere questo tipo di prestazioni.
Ad Oloferne, attento lettore, che comprava ogni santo giorno il giornale perché faceva collezione di inserti e che, dopo la macchina dei Carabinieri, stava costruendosi anche un sottomarino a rate, non erano sfuggiti i messaggi di Giuditta, così una sera le mandò un sms col cellulare per fissare un appuntamento. Sulle prime la vedova non volle cedere alle lusinghe del bellicoso generale: lei era di un altro paese, aveva altre abitudini, ma la curiosità vinse ogni pruderie.
«Anche se sono nata persiana» pensò, «non morirò da tapparella!»
Così si lasciò convincere, e nottetempo, accompagnata da tre ancelle fidate, si incamminò alla volta della villetta di Oloferne. Il generale, che quella sera stava seguendo in televisione l'ultima puntata del Festival di Samaria e la pubblicità dei concorsi a quiz che tanto gli piacevano, come la vide sulla porta se ne invaghì; scaraventò il televisore dalla finestra, e le promise solennemente che se fosse entrata in casa non le avrebbe toccato un sol pelo.
«Accidenti, che mira!» pensò Giuditta. «Questo sì che è un vero macho! Così abbronzato e pieno di muscoli. Altro che quel mollacchione di Menasse, mio marito, che schiattò di insolazione mentre mieteva l'orzo nei campi!»
Stettero un po' in salotto a parlare, poi Oloferne la invitò in pizzeria. Ma Giuditta gli rispose che non poteva fare stravizi perché delicata di stomaco e anche stitica, e così avrebbe spelluzzicato solo due crackers e una 'nticchia di yogurt, a patto che fosse quello coi fermenti lattici vivi.
«Almeno beviamo qualcosina». Propose in alternativa Oloferne, che
oltre ad avere quel carattere bizzoso che conosciamo era anche alcolizzato. Tuttavia non gli parve vero di restare a casa perché aveva terminato l'adesivo per dentiere, e se la pizza era come l'ultima che aveva mangiato, ti saluto gengive! «Ho qui un amaro per uomini indomiti che riparano vecchi aerei, salvano amici sull'orlo di precipizî e campane dagli abissi marini che ti rimetterà a posto le budella, tant'è insoavito d'erbucce e di genziane!»
«Grazie», disse l'amabile Giuditta, «lo gradisco molto volentieri, a patto che dopo andiamo nel granaio a far partorire la ciuca».
Così, scolata che ebbero l'intera bottiglia, se ne andarono felici cazzeggiando e rutticchiando a "godere del gusto pieno della vita".
Prima di cadere in un profondissimo sonno, Oloferne l'alcolista, che sentiva dentro di sé sempre più vivo e prepotente il desiderio d'impalarsi la bella Giuditta, in un impeto incontenibile le dichiarò tutto il suo amore e si offrì di prenderla in moglie. Aggiungendo che l'indomani, di buon mattino, dopo aver fatto colazione al bar del villaggio, si sarebbero recati dal levìta del municipio di Betulia al quale avrebbero richiesto i documenti necessari per il coniugio.
Giuditta acconsentì di buon grado, ma disse a Oloferne che un generale del suo calibro non poteva presentarsi dal levìta in quelle condizioni: con quei cernecchi pendenti dalle orecchie, lunghi, untuosi e spettinati e con la barba lunga di una settimana.
«Hai la testa così in disordine che sembra un mazzo di scarola». Gli disse suadente Giuditta. «A Betulia faccio l'estetista ed ho un negozio di parrucchiera in centro. Vedrai, ti darò una tal sistemata che farai un figurone! Ora, però, dormi senza indugio. Penseremo a tutto domani».
E così Oloferne, augurata la buona notte alla bella vedova, si addormentò sognando volùte a panierina, toppini, ciuffi e acconciature meravigliose. Giuditta, che doveva ancora dire le preghiere come faceva ogni notte prima di addormentarsi, ringraziò il Signore per aver scampato la serata in pizzeria e la strage del dopo discoteca, e si mise a letto. Ma non riusciva a prendere sonno. Il pensiero che l'indomani si sarebbe dovuta presentare in città al fianco di Oloferne non le dava pace, e si girava e rigirava nel letto in preda ad una strana inquietudine.
«Come farò domani? Pensa che figura con gli anziani della città a farmi vedere in compagnia di Oloferne!... In fondo è sempre stato un violento, un sanguigno. Quando beve, poi, chi lo regge più? Se fossi stata previdente e mi fossi portata dietro un minimo di attrezzatura, ma invece mi manca tutto: il fon, lo sciampo, le essenze, la giunchiglia, le forcine e il calamistro. E… se mi portassi invece il lavoro a casa? Ma sì..., faccio proprio così: mi porto il lavoro a casa!»
Detto fatto, Giuditta prese la spada che Oloferne teneva sul comodino per i duelli notturni e… zac! con un colpo ben assestato gli troncò di netto la testa da una basetta all'altra. Poi, non vista, uscì di soppiatto dalla camera dello scapicollato Oloferne, prese la testa del fu generale e la consegnò ad una delle ancelle che prontamente la infilò nel primo fustino di detersivo che le capitò a tiro. Mentre usciva dal villaggio, la serva incontrò un noto imbonitore televisivo il quale insistette fino alla noia per appiopparle due fustini in cambio di uno. Ma l'ancella, incrollabile, non si lasciò abbindolare e proseguì il suo cammino verso Betulia. Intanto, dentro le mura della città si era riunito il gran consiglio degli Anziani, che erano anche piuttosto incazzati perché sul televideo avevano letto che il governo assiro gli aveva bloccato le pensioni, ridotto la tredicesima e tolte le badanti. Era già notte fonda, ma Giuditta ancora non si vedeva. Ad un tratto, una delle sentinelle sentì gridare:
«Aprite! Aprite! Sono Giuditta!»
«Giuditta chi?» gridò la sentinella.
«Sono Giuditta, figlia di Merari, figlio di Ox, figlio di Giuseppe, figlio di Ozel, figlio di Elkia, figlio di Anania, figlio di Gedeone, figlio di Rafain, figlio di Achitob, figlio di Elia, figlio di Natanael, figlio di Eliab, figlio di Salamiel, figlio di Sarasadai, figlio di Simeone, figlio di Israele! Aprite quel cazzo di portone, perbacco!»
«Non ti credo!» gridò la guardia, sospettosa. «Aspetta, che chiamo il capoposto!» e andò a chiamare il capoposto.
«Chi sei?»gridò il capoposto.
«Sono Giuditta, figlia di Merari, figlio di Ox, figlio di Giuseppe, figlio di Ozel, figlio di Elkia, figlio di…»
«Ohé! Andiamoci piano con le parolacce e non cominciamo a offendere, sennò ti lascio fuori tutta la notte a puzzare con la testa di Oloferne! Eccheccazz...!!»
E così, finalmente, verso mezzogiorno, giorno più giorno meno, Giuditta, accompagnata dalla fedele ancella, entrò a Betulia. La testa di Oloferne,
per l'occasione tirata fuori dal fustino, fece ben presto il giro della città. Tutti la volevano vedere, toccare, e qualcuno se la voleva addirittura portare a casa per avvertire la suocera. «Accidenti che brutta testa! È proprio ridotta male» dicevano. «Ha la forfora e anche le doppie punte! Però gli hanno fatto un taglio perfetto!»
Così decisero di appenderla fuori delle mura di Betulia per fare réclame al negozio di Giuditta e allontanare le mosche.
In città, nel frattempo, anche il sommo sacerdote Joachim col mago di Oz e tutto il gran consiglio degli Anziani a reddito basso, vollero recarsi da Giuditta per complimentarsi con lei. «Brava! Accidenti che taglio artistico che gli hai fatto a Oloferne! Che dio ti benedica. Amen». Giuditta si inchinò e ringraziò. «Bene! Brava! Bis!» gridava intanto la folla entusiasta. Allora Giuditta tornò sul palco, si inchinò ancora e ringraziò, ma pregò tutti di non rompere più i coglioni perché doveva urgentemente spedire un ordine alla Vestro e la rinuncia all'abbonamento di Selezione che l’aveva scovata anche in Galilea.
Al villaggio di Oloferne, frattanto, era successo il quarantotto. Le truppe betuliesi avevano attaccato gli Assiri decimandoli e saccheggiando l'accampamento. Il bottino fu abbondante e pieno di oggetti preziosi. La villetta di Oloferne
, che era abusiva, senza abitabilità e per di più aveva la mansarda non sanata, fu messa all'asta e se l'aggiudicò la stessa Giuditta con un'offerta truccata; il mobilio, il vasellame, le gemme, i tesori e le rarità andarono anch'essi a Giuditta, e fu deciso di dare ugualmente a Giuditta il papillote, la coramella, il borlone, il dirizzatoio e il discriminale ché le sarebbero stati utili per il negozio. Così l’allegra vedova caricò tutta la mercanzia sulla sua mula di nome Tir, attaccò il rimorchio e se ne andò ringraziando commossa. «Ci vediamo tra qualche giorno a Gerusalemme, amici!» Disse, accompagnando il saluto con il gesto della mano sinistra portata nell'incavo del braccio destro piegato ad angolo retto. Il giorno dopo nella città di Israele ci fu grande festa: furono invitati cantautori locali e famosi complessi musicali giunti per l’occasione perfino dall’estero, e si cantò e si ballò per tre mesi di fila. Finita la festa e gabbato lo santo, tutti rientrarono alle proprie case. Giuditta ritornò a Betulia, smise di fare la parrucchiera e si mise a vendere alghe e prodotti dietetici in televisione in attesa che l'arrestassero. Non si sposò mai e campò di rendita fino a 105 anni, giorno più giorno meno. Poi si scocciò, e morì costipata e con la gastrite. Fu sepolta a Betulia vicino al marito, dopo aver lasciato un sacco di buffi in pizzeria.
Larga la figlia, stretta la zia, qui finisce la storia e così sia.