giovedì 22 marzo 2012

Articolo 18



STATUTO LAVORATORI - LEGGE 20 MAGGIO 1970, N. 300

Art. 13 - Mansioni del lavoratore 

L'articolo 2103 del codice civile è sostituito dal seguente: 

"Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è  stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. 
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo".

Art. 15 - Atti discriminatori

"E' nullo qualsiasi patto od atto diretto a: subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso".

Art. 18 - Reintegrazione nel posto di lavoro

"Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore".



Art. 40 - Abrogazione delle disposizioni contrastanti

"Ogni disposizione in contrasto con le norme contenute nella presente legge è abrogata.
Restano salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali più favorevoli ai lavoratori".


  
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Sempre che nel frattempo qualcuno degli articoli citati non sia stato sostituito da nuove norme - che però non conosco -, ho qualcosa anch'io da dire in proposito all'articolo 18 di cui tanto si discute in questi giorni. 
Per prima cosa non vedo perché non si debba applicare anche ai dipendenti pubblici. Sono forse cittadini diversi da quanto sancisce l'art. 3 della Costituzione? Quella nostra, non quella del Burundi, che recita:

Art. 3 
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

E quindi non vedo perché, l'articolo 18, non si debba applicare a tutti i cittadini, indistintamente.

Ora parliamo un po' delle imprese, soprattutto di quelle piccole.
Niente credito dalle banche - alle quali ultimamente pare essersi ulteriormente "accorciato il braccino" -, in certi casi alcune sono soffocate da mancati pagamenti da parte dello Stato (o di chi per lui), subiscono aumenti paurosi di tasse e balzelli tipicamente italiani, oltre al calo sensibile dei consumi perché la gente non ha soldi e compra sempre meno. E scusatemi se ho trascurato qualcosa. 
Quindi, di quale "crescita" vogliamo parlare? Così, se non ce la fanno più ad andare avanti, il "padrone" è costretto a licenziare qualcuno. 
Ma da chi comincia? Dal più vecchio e più vicino alla pensione? Sempre che gliela diano subito, la pensione, e che non debba aspettare alcuni anni durante i quali dovrà tirare a campare con gli "ammortizzatori sociali". Se glieli danno, e per quanto tempo. Oppure da chi ha la salute più instabile e troppo spesso... "marca visita", o dal rompicoglioni di turno (ché, prima o poi, uno lo trovi sempre)? 
Senza contare che i "licenziandi" potrebbero avere sulla gobba, oltre alla famiglia da mantenere, un mutuo da pagare e tutte le nuove tasse sulla casa (che magari è ancora della banca). Oltre agli incrementi Irpef che Regioni, Province e Comuni ogni anno si affrettano ad aumentare.
E se l'impresa licenzia perché gli affari vanno male, come farà a pagare da 15 a 27 mensilità - come vorrebbe il nuovo art. 18 - quelli che licenzia? Dove li prende i soldi? 
Poi ci sono anche i "furbetti dell'aziendina": cioè quelli che dall'Italia se ne vanno all'estero (ultimamente pare che vada molto di moda la Serbia o la Romania), dove la manodopera costa molto meno e dove lo stato ospitante elargisce sussidi pubblici e cospicui sgravi fiscali di varia natura che da noi se li sognano! 
Perciò, in tutta sincerità, mentre aspettiamo tutti col fiato in gola la tanto sbandierata "crescita", mi pare che ci sia qualcosa che non va. 
Come la "nuova"(?) legge sui... ludopatici. Che praticamente sono quelli che non riescono a smettere di giocare con le macchinette, coi grattevinci, coi giochi d'azzardo on-line e con tutte le altre diavolerie che spesso lo Stato reclamizza e promuove anche negli spot televisivi (pelosamente raccomandando di "giocare con giudizio", o qualcosa di simile; come, nelle pubblicità sugli alcolici, suggerisce: "bevi con moderazione").
Ebbene, questi malati, più o meno istituzionalmente "sponsorizzati", ora finalmente potranno essere curati dal Servizio Sanitario Nazionale. 
Cioè a spese nostre...
 



2 commenti:

  1. Bravo Francesco, ancora una volta la tua voce si alza per mettere una vicino all'altra tutta una serie di verità e di punti interrogativi che aiutano a capire meglio quello che chi ci 'comanda' tenta continuamente di farci ingoiare. Pazzesco che si arrivi a certe proposte di intervento 'soccorritore' da parte dello Stato - appunto con i nostri soldi - nei confronti di chi è sollecitato a 'deviare' e non verso tantissime situazioni di disagio, se non di povertà, in cui dei poveri 'disgraziati' tentano comunque di sopravvivere. Stiamo ancora scendendo in basso, dove sarà il fondo??? Un abbraccio e grazie.

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  2. Mio caro Luigi, ti ringrazio per aver appoggiato, con la tua voce, i miei "ululati alla luna"...
    Sai che non posso soffrire le ingiustizie, soprattutto quando queste sono indirizzate sempre e soltanto verso le classi più deboli.
    Se vai su "Corriere.it" di oggi, vi troverai un interessante articolo di Gian Antonio Stella a proposito del sindaco di Verbania condannato dal Tar a rifondere i danni a una ditta che gestisce le slot machine nel territorio comunale di sua competenza. In pratica, per evitare che i ragazzi marinassero la scuola, ha limitato gli orari di apertura alle sole ore pomeridiane e serali, causando una perdita di profitto al gestore delle sale da gioco.
    Perciò, caro Luigi, è probabile che il "fondo" sia ancora molto più in basso di quanto crediamo!
    Un forte abbraccio e grazie ancora,
    Francesco

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