Domani vi racconto la storia di questo acquerello. Ora, sono quasi le due di notte e me ne vado a letto. Buona notte!
Eccomi di nuovo qua, pronto a mantenere la promessa fatta ieri notte.
Dunque, dicevo, anche se l'acquerello è di ieri dopo pranzo (probabilmente avevo mangiato male e digerito peggio), questi tre baldi ragazzotti nel frattempo sono cresciuti. Il primo a sinistra è il fratello della prima a destra, e quello al centro è un amico di tutt'e due. La scena, che si svolgeva al Poetto, si riferisce a una calda mattina di giugno - o di luglio - di tanti anni fa che, tutti insieme, avevamo deciso di trascorrere al mare. Per l'occasione, quel giorno mi ero portato dietro il mio kajak, prezioso regalo di un vecchio Inuit di nome Kalliqawisuttapiatum (per gli amici Kalli), conosciuto su Skype durante una battuta di caccia alla foca on-line. Kalli viveva a Ketchikan, nel sud dell'Alaska, insieme alla moglie Yupik e al fedele cane Permafrost, e non aveva figli. Con la moglie si erano conosciuti per caso a una festa a casa di amici, presso i quali Yupik si era recata con l'incarico di guardare i bambini. Durante la cena, Kalli aveva chiesto al padrone di casa chi fosse quella moretta assai carina e con gli occhi a pistacchio, e come mai i ragazzi, di solito scatenati nei loro giochi quando non li controllava nessuno, quella sera fossero così tranquilli. "Ma chi, quella? Te la raccomando: è buona per i calli!", gli rispose a mezza voce l'amico per timore che Yupik lo sentisse. Evidentemente Kalli prese la frase dell'amico come un incoraggiamento, e così da quel giorno iniziò a corteggiare dappresso Yupik fino a quando, dopo un paio d'annetti, decisero di sposarsi. Il cane venne dopo: lo avevano trovato una sera in una discarica, mezzo assiderato e sotto a un vecchio materasso a molle coperto di neve ghiacciata, e così decisero di chiamarlo Permafrost. Quando dormiva sul divano, al calduccio del caminetto, e Kalli e Yupik lo accarezzavano sulla folta pelliccia, non sono mai riusciti a capire quale fosse di lui il lato estivo e quello invernale. Intanto, io e il vecchio Kalli ci sentivamo quasi ogni giorno su Skype, e col tempo la nostra amicizia si era talmente rafforzata che una mattina mi disse che aveva intenzione di venirmi a trovare in Sardegna. "Hai voglia di perdere tempo, amico mio... - gli risposi per fargli capire come funzionano le cose qui da noi -, la Sardegna non è mica dietro l'uscio! Il viaggio che ti attende non è cosa da poco; poi, con la continuità territoriale che abbiamo nell'Isola, anche se pigli l'aereo rischi di morire di vecchiaia in sala d'aspetto ancor prima di arrivare!" Ma nonostante avessi tentato più volte di dissuaderlo dall'affrontare una simile trasferta, Kalli insistette a tal punto che alla fine lasciai cadere il discorso per non passare da maleducato. Mi spiegò che ormai erano mesi che studiava l'itinerario da seguire, e che non sarebbe mai venuto in aereo perché soffriva terribilmente il mal d'aria, e lo stare chiuso per ore dentro a quei "tubi di ferro" - così chiamava lui gli aerei - gli metteva addosso una tale ansia che piuttosto sarebbe venuto in kajak. E fu così che una mattina di una trentina d'anni fa, fatti i pochi bagagli che avrebbe potuto stivare nel piccolo gavone di poppa del suo kajak, dopo avermi avvisato della partenza con un breve videomessaggio su Skype, salpò da Ketchikan alla volta della Sardegna. Dopo aver disceso il Pacifico costeggiando il costeggiabile, dallo Stretto di Hecate alla Columbia Britannica con una breve sosta a Vancouver per i rifornimenti, giunse in California dove decise di fermarsi per chiedere a quale numero fossero arrivati con le puntate di Beautiful perché, come seppi in seguito, la moglie Yupik, che durante gli anni di convivenza aveva scoperto avere un bruttissimo carattere, una mattina gli aveva scaraventato il televisore al plasmon fuori dall'igloo col risultato che gli si erano congelati tutti i programmi e non si vedeva più nulla. Avute le notizie che cercava a Los Angeles e deluso dall'aver constatato che sarebbe morto prima lui della fine della soap opera, Kalli ripartì. Doppiato il Capo San Lucas e puntata la prua del kajak prima su Puerto Vallarta e poi su Manzanillo, si diede a pagaiare con inusitato vigore verso Puerto Escondido, dove giunse la settimana successiva. E' inutile a questo punto elencarvi con noiosa dovizia di particolari geografici tutti i luoghi attraverso i quali l'indomito Kalli passò, ma finalmente, lasciato il Messico e costeggiando Guatemala, El Salvador, Nicaragua e Costa Rica, dopo quattro lunghi mesi di navigazione giunse a Panama, dove, dopo aver percorso i circa 81 km del famoso Canale, sbucò nel Mar dei Caraibi.
per gentile concessione di: https://it.wikipedia.org/wiki/Caraibi#/media/File:CIA_map_of_the_Caribbean.png
Puntò su Barranquilla per i soliti rifornimenti e, dopo una veloce occhiata alla mappa di viaggio che si era preparata prima di partire, si diresse con decisione alla volta delle Piccole Antille. Altro scalo per il rifornimento a Saint - Anne, questa volta più sostanzioso del solito perché avrebbe dovuto attraversare l'Oceano Atlantico. Per l'occasione aveva acquistato un singolare, quanto ingegnoso ma soprattutto leggerissimo, portapacchi per canoe da un pescatore del luogo che glielo aveva venduto per pochi dollari e sul quale, con opportune modifiche per meglio fissarlo allo scafo del kajak, poté caricare comodamente le provviste necessarie. Fatto il pieno, mi comunicò col solito sistema la sua ultima posizione e, se i venti non gli fossero stati surrettizi, gli equinozi fittizi e il prepuzio propizio, avrebbe tentato l'avventurosa traversata per raggiungere, non-si-sa-quando, le Isole di Capo Verde. Per alcune settimane non ebbi più alcuna notizia dell'amico Kalli, finché un giorno, proprio quando ormai avevo perduto ogni speranza, mi comunicò che era giunto in Senegal e che da lì avrebbe risalito la costa fino al Marocco e a Gibilterra. Lo avvertii di fare molta attenzione perché correvano voci di alcuni spostamenti sospetti lungo la costa, e che le gendarmerie locali tenevano gli occhi aperti su ogni cosa si muovesse. Infatti, qualche giorno più tardi mi telefonò dicendomi che l'avevano "salvato" e portato in un centro di raccolta in Sicilia, dove da oltre un mese insistevano per sapere chi fosse, da dove venisse e dove stesse andando. Tormentoso e misterioso quesito sul senso della vita, al quale, rispose filosoficamente l'amico Kalli al gendarme di turno che lo interrogava, nessuno finora ha mai saputo rispondere. Neppure lui, che ormai si era anche dimenticato del perché fosse partito, figuriamoci se poteva saperlo chi glielo stava chiedendo. Ebbene, non ci credereste, ma fu così convincente che lo lasciarono andare. In più, gli dettero anche dei viveri, un po' di soldi e una tessera telefonica per chiamare a casa. Prima di partire dal centro di raccolta mi telefonò e mi disse che, se tutto fosse andato per il verso giusto, in un paio di settimane di navigazione sarebbe arrivato a Cagliari. Così, calcolati i tempi della partenza, una mattina andai ad attenderlo sulla diga foranea davanti al Porto e finalmente, qualche ora prima che tramontasse il sole, quando ormai stavo per tornare sconsolato a casa, mi parve di scorgere un puntino scuro all'orizzonte che si avvicinava lentamente. "Diavolo d'un ometto - pensai in cuor mio -, vuoi vedere che ce l'ha fatta?"Difatti, una mezz'ora più tardi, era già sotto al molo che mi sorrideva da un orecchio all'altro. Dopo che ebbe assicurato a una bitta il fedele kajak, gli detti una mano per scendere e salire sulla scaletta del molo dove ci abbracciamo felici come due fratelli che non si erano mai conosciuti e lo facevano per la prima volta in quel preciso istante. Poi, come un fiume in piena, iniziò a raccontarmi del suo avventuroso viaggio mischiando all'incerto inglese un po' di iglulik - una sorta di qikiqtaaluk misto a inuktitut parlato nel Nunavut canadese - e d'iqaluit dell'Isola di Baffin che io, avendo seguito un corso accelerato di lingua eschimo-aleutina all'Uni Tre, fortunatamente riuscivo a comprendere. Nel frattempo, pur se con molte difficoltà eravamo riusciti a tirare in secca il kajak, e dopo aver recuperato quel poco che c'era rimasto dei viveri - un paio di pesci essiccati al sole e ormai puzzolenti più di un cassonetto dell'immondizia, e una borraccia di pelle di caribù che un tempo forse aveva contenuto acqua "potabile" -, lasciammo l'imbarcazione in custodia da alcuni amici canottieri, i quali, saputo chi fosse e da dove venisse ma non dove stava andando, insistettero per invitarci a cena e farsi raccontare da Kalli in persona il viaggio. Ma Kalli, che probabilmente era un po' stanchino, rispose loro che se fossero stati disposti a seguirlo in quello di ritorno non ce ne sarebbe stato bisogno perché lo avrebbero visto da sé. Si misero tutti a ridere, e anche noi, ridendo come matti, dopo aver regalato loro i due pesci guasti e la borraccia piena d'acqua putrida, ci avviammo verso la macchina e ce ne andammo a casa. Tralascio, perché troppo lunga, la permanenza di Kalli a casa nostra - dove rimase per quasi un mese -, ma durante quel periodo ci tengo a dire con orgoglio che fummo invitati in tutte le televisioni locali e intervistati da un sacco di giornali per parlare del suo fantastico viaggio e di come ci eravamo conosciuti. Ormai Kalli era diventato famoso, al punto che alle primarie lo avevano addirittura candidato alle prossime elezioni politiche come Presidente della Regione. Perché, dicevano, se in poco più di sei mesi era riuscito a fare un viaggio così lungo con un kajak, una persona del genere sarebbe certamente in grado di risolvere il problema della continuità territoriale che da noi ormai dura da anni. Naturalmente Kalli declinò l'invito: aveva ancora una moglie e un cane che lo aspettavano a casa, della continuità territoriale non gli fregava un cazzo, e poi doveva ricomprare il televisore per vedere la 19.623esima puntata di Beautiful che si era persa. In cui, forse, Maya avrebbe detto a Rick che non era una donna ma chissachì, e poi sapere se anche Wyatt, che dice di amare Nicole, è ancora disposto a rivelare a tutti il segreto che Maya non è la sorella bensì il fratello di Nicole, cosa che aumenta la vulnerabilità di Rick anche perché ritorna Steffy che si vuol riprendere tutta la Forrester, e infine se Ridge tornerà o no con Brooke. E allora, se in questi casi non hai un televisore come fai?
Il giorno della partenza eravamo tutti tristi. Kalli era stato un ospite gradevole e per nulla invadente: non aveva neppure disfatto il letto perché dormiva per terra, sul tappetino di bambù, e si lavava sempre con l'acqua fredda perché era abituato così. Dopo mangiato addirittura sparecchiava e lavava i piatti e, anche se abbiamo impiegato del tempo prima che capisse che gli avanzi dei pasti non si buttano dalla finestra perché da noi non abbiamo gli orsi che se li mangiano, alla fine si era integrato perfettamente alla vita casalinga. Quando gli chiesi con che cosa intendesse tornare a casa, perché non mi sembrava davvero il caso che affrontasse di nuovo un simile viaggio con un kajak, mi rispose candidamente che questa volta sarebbe rientrato con la nave. Infatti, in quei giorni che eravamo stati in giro e gli avevo mostrato la città, al Porto aveva incontrato un suo connazionale che era imbarcato su un cargo in partenza per l'Islanda, il quale aveva detto al comandante che Kalli era un suo cugino che doveva rientrare a casa perché la moglie stava male e aveva bisogno urgente di un televisore, e così gli aveva chiesto se gli dava un passaggio. Il comandante aveva acconsentito, anche perché aveva saputo che Kalli era un bravo meccanico che sapeva aggiustare di tutto e che, anche in cucina, si dava daffare con ottimi risultati. Al suo Paese, infatti, era stato premiato in diverse trasmissioni, tipo quelle che ci sono anche da noi, che tradotte alla meglio in italiano potrebbero significare: "Il copricuoco", "Bambole in pentola", "Cuoco pressappoco", "Cuochi dappoco" e "Cuochi & Renato". Il cargo si sarebbe fermato a Reykjavik, e lì avrebbe aspettato qualcuno che lo riportasse a casa. Anzi, guardando una cartina, si accorse che se all'andata fosse passato da quella parte, probabilmente avrebbe impiegato meno tempo. Attraversando lo Stretto di Bering, infatti, e costeggiando lo Yukon fino al Mare di Beaufort, in un baleno sarebbe arrivato in Groenlandia e da lì in Islanda, da dove raggiungere prima l’Irlanda e poi la Spagna sarebbe stato un gioco da ragazzi. Perché diavolo non ci aveva pensato prima? Ma ormai era fatta. Così, prima di partire, per ripagarmi in qualche modo del soggiorno e darmi un segno tangibile della sua grande amicizia, decise di lasciarmi il suo amato kajak. Tanto, a Ketchikan ne aveva altri due, più leggeri e più utili nei brevi tragitti locali di quello con cui era partito. Siccome odiava gli addii, mi pregò di lasciarlo sulla banchina, sotto al cargo sul quale di lì a poco si sarebbe imbarcato. Ci abbracciammo, e prima di lasciarci mi feci promettere che mi avrebbe tenuto costantemente informato sul viaggio di ritorno; poi, mentre saliva sulla scaletta che conduceva a bordo, me ne andai senza voltarmi indietro e raggiunsi la macchina al parcheggio. Ricordo che detti una breve occhiata alla nave mentre si allontanava, e non mi sorpresi quando, vedendone la sagoma che pian piano spariva all’orizzonte, sentii gli occhi umidi di lacrime. Partito Kalli, andai dagli amici canottieri presso i quali avevo lasciato il kajak per dargli un'occhiata. All'arrivo, preso dall'incontro con l'amico Kalli, non lo avevo osservato attentamente e non ricordavo quasi neppure com'era fatto. Nel frattempo, gli esperti amici canottieri lo avevano appoggiato su due cavalletti in modo che la sagoma non si deformasse, e mi accorsi che ogni tanto qualcuno lo aveva anche premurosamente spalmato di grasso perché la pelle non si seccasse troppo. Non avendo a disposizione il grasso di foca, in seguito seppi che avevano dovuto usare quello per i cuscinetti; forse meno adatto, ma col vantaggio che puzzava di meno di quello di foca il cui tanfo ancora si avvertiva per tutto il cantiere. Il modello che Kalli mi aveva portato, dunque, era monoposto e completo di pagaia a doppia pala e tendalino per evitare che si riempisse d'acqua col mare agitato, l'ossatura dello scafo era interamente di legno ricoperto di pelle di foca ed era lungo quasi cinque metri fuori tutto. Perbacco! Sarebbe stato un problema portarlo fino a casa sulla macchina, anche perché non avevo un portapacchi. Così decisi che ci sarei arrivato via-mare, avvicinandomi a casa il più possibile, e lì avrei chiesto a un caro amico che ha uno stabilimento balneare al Poetto se fosse disposto a tenermelo con gli altri che dava in affitto ai turisti durante la stagione estiva. Così feci, e per farla breve perché mi sono rotto di scrivere un sacco di cazzate, siccome eravamo in autunno inoltrato e non era certo il tempo più adatto per andare in giro col kajak, lo parcheggiai al Poetto nello stabilimento dell'amico, e lo lasciai lì. All'inizio lo riconoscevo subito perché era l'unico pieno di mosche, fino a quando un giorno non lo trovai più. Seppi in seguito da alcuni patiti del jogging e assidui frequentatori del luogo che una foca, fuggita da un circo estemporaneo che aveva messo le tende in città nei pressi della Darsena, era arrivata fino allo stabilimento dell'amico al Poetto e, col naso fino che contraddistingue le foche in cattività, riconoscendo l'odore del grasso che proveniva dal kajak per quello di un lontano parente scomparso da anni e mai più ritrovato, si era incazzata a tal punto che aveva preso l'asta di un ombrellone trovato nei paraggi e l'aveva completamente distrutto! Poi, soddisfatta, era tornata al circo a saltare nell’acqua della piscina e a giocare coi palloni che le tiravano sul naso. Le ultime notizie avute da Kalli non furono buone: la moglie lo aveva lasciato per un vicino d’igloo che aveva un televisore più grande e l’abbonamento a tutti i canali premium; e anche il cane, che nel frattempo aveva trovato l’amore, era scappato con una certa Memory rimorchiata in una televendita di materassi a molle in televisione. Cercai di consolarlo come meglio potevo, ma fu del tutto inutile. Per tentare di dimenticare, mi disse che si era messo per un po’ a vendere ghiaccioli al sapore di foca, ma i risultati furono talmente scarsi che di lì a poco fu costretto a chiudere l’attività e a vendere l'igloo per ripagare i debiti.
Oggi, del povero Kalli, ho perso completamente ogni traccia.