Come ormai facciamo da qualche tempo approfittando delle belle giornate di sole delle quali, oltre a luglio e agosto, anche settembre sembra essere prodigo assai, tutti i pomeriggi io e l’amico Alberto ci scapicolliamo in bicicletta alla ricerca di nuovi posti da visitare. Posti che anche se per noi del tutto nuovi non sono perché visitati altre volte in circostanze diverse, lo diventano se rivisti dal sellino di una bici. Soprattutto per la totale immersione nella Natura che ci circonda e, non ultimi, i dolori al fondoschiena che, pedalata dopo pedalata, ti ricordano quanta sofferenza ahimè costino le cose belle…
Perciò l’altra sera ci siamo accordati sul percorso da fare e abbiamo deciso che il faro di Calamosca (o di Sant’Elia, come alcuni lo chiamano) poteva andar bene.
Siamo partiti dal solito posto, perché Alberto abita lì e io un po’ più in là, e dall’idrovora del Rollone, attraversando tutto il Parco di Molentargius lungo quella che viene chiamata “la Via del Sale”, abbiamo costeggiato il canale La Palma fino alla confluenza col Canale di Sa Perda Bianca (“perda”, in sardo campidanese vuol dire “pietra”) fiancheggiando gli edifici delle ex Saline di Stato, e siamo quindi giunti al quartiere che di quel canale porta il nome: cioè La Palma.
Attraversata la Via Tramontana (quella di fronte, nella foto), facendo attenzione al vento ma soprattutto alle macchine, rigorosamente in senso vietato e stando sull’ampio marciapiede che c’è a sinistra siamo entrati in Via Amerigo Vespucci e l'abbiamo percorsa per intero passando sotto al Ponte Vittorio fino a giungere nei pressi dello stadio di Sant’Elia (dove tante partite ha giocato il glorioso Cagliari!).
Come riferimenti visivi, per chi volesse intraprendere questo avventuroso viaggio anzichenò, sulla destra c’è il canale – sempre La Palma –, e sulla sinistra lo stadio – sempre di Sant’Elia. In fondo, ma proprio in fondo e sempre a diritto, dove il canale sbuca in mare nei pressi della vecchia Darsena del Sale, c’è una graziosa e poco frequentata spiaggetta (vedi immagine sotto).
Lasciata da parte la spiaggetta perché eravamo senza costume da bagno, abbiamo imboccato sulla sinistra la bellissima e panoramicissima passeggiata lungomare, di nuova fattura e ancora coi lavori in corso, che mena fino al borgo di Sant’Elia e che prende il nome di Via dei Navigatori. Da qui abbiamo proseguito sempre sul lungomare – che s’interrompe per alcune decine di metri per poi riprendere poco più avanti - e ci siamo trovati all’interno dell’amplissimo e nuovissimo piazzale dell’ex Lazzaretto, attuale sede d’importanti manifestazioni culturali e artistiche.
Il colpo d’occhio che da qui si gode è davvero bello, soprattutto al tramonto: di fronte, il mare del Golfo di Cagliari con le montagne di Capoterra; a sinistra, i primi contrafforti calcarei di Calamosca, mèta del nostro viaggio, e a destra, in lontananza, la Città dipinta di rosa dai raggi del sole.
Usciti dal Lazzaretto perché fortunatamente del tutto guariti, siamo così arrivati alla fine del borgo di Sant’Elia dove, sul colle di San Bartolomeo che si erge a sinistra, svettano i ruderi della Fortezza di Sant’Ignazio; mentre a destra, sulla cima della ripida stradetta bianca che avevamo quasi davanti, c’è la Torre di Perdusemini (“perdusèmini”, sempre in sardo campidanese, vuol dire “prezzemolo”), che si vede sullo sfondo.
Inseriti opportunamente i salvifici “rapporti da salita” sui nostri cavalli d’acciaio e pedalando come forsennati, siamo giunti in vetta alla straducola proprio sotto alla torre.
Qui ci siamo dovuti fermare per riprender fiato e fumarci un paio di sigarette, mentre altri più giovani cicloturisti, guardandoci con sospettosa ammirazione, ci sorpassavano a vertiginosa velocità spegnendoci più volte la fiamma dell’accendino. Alcune informazioni sulla torre, che è del Cinquecento e che fu edificata insieme alle altre da Filippo II di Spagna per difendere l’Isola dalle scorrerie dei pirati barbareschi, le potete leggere qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_del_Prezzemolo
Particolarmente interessante è la storia riguardante tutte le altre torri della Sardegna, secondo il piano difensivo spagnolo denominato “Reale Amministrazione delle Torri”, che troverete invece qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Torri_costiere_della_Sardegna
In pratica com’era avvenuto in epoche remote per i nuraghi, che da uno ne potevi vedere almeno altri due, lo stesso è avvenuto per le torri. Chi avvistava l’ignoto visitatore venuto dal mare lo segnalava agli altri, in una sorta di “passaparola”, e così avevano il tempo di predisporre le eventuali difese se necessarie.
Un po’ come succede oggi con “Mare nostrum” e il futuro “Frontex plus”, ma molto diverso perché allora erano tutti d’accordo.
Oltrepassata la torre del Prezzemolo e assicuratici che dal mare non arrivasse nessuno, abbiamo imboccato la discesa e scansato le buche stando attenti a non finire in mare con tutte le bici dalla minacciosa scogliera, e siamo arrivati a quella che oserei dire è stata la nostra impresa più bella finora portata a compimento: la cicloscalata al colle di San Bartolomeo.
Controllata la pressione delle gomme, quella della prostata, e svuotata la vescica dalle 20 atmosfere d’urina accumulata fino a quel momento, abbiamo preso la rincorsa e iniziato la salita.
Fatti alcuni metri con la lingua quasi tra i raggi del cerchione anteriore e le pulsazioni a 220 pre-ischemia, ci siamo fermati: io, arenatomi col telaio su due rocce diverse e ivi rimasto in bilico sul bàratro con la ruota posteriore che girava a vuoto; poco più avanti l’Alberto, distante alcuni metri da me, il quale, in seguito al surriscaldamento dei freni nella discesa, aveva appiccato un incendio colposo al cespuglio di rovi dov’era finito e che tentava invano di spegnere agitando il cappellino.
Allora sono sceso precipitevolissimevolmente dalla bici, ormai rimasta incastonata come un fossile nel calcare, e sono corso in suo aiuto gridando e agitando quella che credevo fosse la bottiglietta dell’acqua. Gli ho così rovesciato addosso la scorta di litri 2 salvo complicazioni di fil’eferru a 70°, che di solito reco secomeco per stemperare l’arsura dei viaggi. Nella fiammata che ne è scaturita ho fatto appena in tempo a vedere la sagoma luminescente di Alberto che, pur mantenendosi basso sull’orizzonte, dopo aver perso il cappellino è partito a razzo per la tangente verso l’ignoto spazio dove dovrebbe essere visibile almeno fino al 10 settembre a fianco della cometa Oukaimeden V5, se il cielo sarà sereno e se avete un telescopio amatoriale. Raccolto il cappellino per restituirlo alla moglie e ai parenti in gramaglie (una prece), mi sono tenuto il sellino, più imbottito del mio, e la ruota posteriore col copertone nuovo. Ripresa la scalata al colle, solo e triste per l’immatura dipartita dell’amico e compagno di pedale, non avevo percorso che poche decine di metri quando, dietro una curva dell’angusto ed erto sentiero, ho visto la sagoma annerita dell’Alberto che mi salutava.
Dopo che ci siamo abbracciati come se non ci vedessimo da anni luce, mi ha spiegato che per un complesso sistema di orbite di corto periodo riguardanti alcuni corpi celesti, il ghiaccio degli asteroidi incontrati lungo il cammino e un favorevole quanto inatteso campo magnetico ionico formatosi per effetto fotoelettrico era stato riportato sano e salvo a terra. Ora, ha precisato, si sentiva benissimo ed era pronto a riprendere il viaggio. Ripulitolo dal nerofumo e ricostruita alla meglio la sua bicicletta, rinunciando generosamente al cerchione e al sellino che avevo raccolto come cimeli per i suoi cari, siamo ripartiti alla vòlta del faro di Calamosca (o, se più vi piace, di Sant’Elia) sul cui piazzale antistante ci siamo fatti fotografare da un paio di amici incontrati per caso sul posto.
Il resto è facilmente intuibile: essendo il sole ormai tramontato da tempo e giunta l’ora che a’ naviganti intenerisce il core, sfruttando gli alisei siamo rientrati pedalando di buona lena verso casa dove ci attendevano le ansiose mogli e la figliolanza tutta.
Controllata la pressione delle gomme, quella della prostata, e svuotata la vescica dalle 20 atmosfere d’urina accumulata fino a quel momento, abbiamo preso la rincorsa e iniziato la salita.
Fatti alcuni metri con la lingua quasi tra i raggi del cerchione anteriore e le pulsazioni a 220 pre-ischemia, ci siamo fermati: io, arenatomi col telaio su due rocce diverse e ivi rimasto in bilico sul bàratro con la ruota posteriore che girava a vuoto; poco più avanti l’Alberto, distante alcuni metri da me, il quale, in seguito al surriscaldamento dei freni nella discesa, aveva appiccato un incendio colposo al cespuglio di rovi dov’era finito e che tentava invano di spegnere agitando il cappellino.
Allora sono sceso precipitevolissimevolmente dalla bici, ormai rimasta incastonata come un fossile nel calcare, e sono corso in suo aiuto gridando e agitando quella che credevo fosse la bottiglietta dell’acqua. Gli ho così rovesciato addosso la scorta di litri 2 salvo complicazioni di fil’eferru a 70°, che di solito reco secomeco per stemperare l’arsura dei viaggi. Nella fiammata che ne è scaturita ho fatto appena in tempo a vedere la sagoma luminescente di Alberto che, pur mantenendosi basso sull’orizzonte, dopo aver perso il cappellino è partito a razzo per la tangente verso l’ignoto spazio dove dovrebbe essere visibile almeno fino al 10 settembre a fianco della cometa Oukaimeden V5, se il cielo sarà sereno e se avete un telescopio amatoriale. Raccolto il cappellino per restituirlo alla moglie e ai parenti in gramaglie (una prece), mi sono tenuto il sellino, più imbottito del mio, e la ruota posteriore col copertone nuovo. Ripresa la scalata al colle, solo e triste per l’immatura dipartita dell’amico e compagno di pedale, non avevo percorso che poche decine di metri quando, dietro una curva dell’angusto ed erto sentiero, ho visto la sagoma annerita dell’Alberto che mi salutava.
Dopo che ci siamo abbracciati come se non ci vedessimo da anni luce, mi ha spiegato che per un complesso sistema di orbite di corto periodo riguardanti alcuni corpi celesti, il ghiaccio degli asteroidi incontrati lungo il cammino e un favorevole quanto inatteso campo magnetico ionico formatosi per effetto fotoelettrico era stato riportato sano e salvo a terra. Ora, ha precisato, si sentiva benissimo ed era pronto a riprendere il viaggio. Ripulitolo dal nerofumo e ricostruita alla meglio la sua bicicletta, rinunciando generosamente al cerchione e al sellino che avevo raccolto come cimeli per i suoi cari, siamo ripartiti alla vòlta del faro di Calamosca (o, se più vi piace, di Sant’Elia) sul cui piazzale antistante ci siamo fatti fotografare da un paio di amici incontrati per caso sul posto.
Il resto è facilmente intuibile: essendo il sole ormai tramontato da tempo e giunta l’ora che a’ naviganti intenerisce il core, sfruttando gli alisei siamo rientrati pedalando di buona lena verso casa dove ci attendevano le ansiose mogli e la figliolanza tutta.
Alla prossima!
Caro Francesco, beati voi che avete potuto vedere il sole:-) qui la abbiamo veda per qualche secondo e poi pioggia è quasi impossibile immaginare un tempo simile.
RispondiEliminaVedo che vi siete molto divertiti girando cola vostra bicicletta, devo ringraziare il fotografo che ci ha fatto vedere queste magnifiche foto...
Ciao e buona serata caro amico.
Tomaso
Bravissimo, muoversi fa bene...e visitare sempre posto nuovi fa altrettanto bene!
RispondiEliminaUn bel reportage...
Ciao Francesco un abbraccio!
Mi dispiace per il tempo, da voi così poco clemente, carissimo Tomaso, ma ieri mattina mi sono fatto anche il bagno. E se oggi non mi sento troppo bene perché forse ho esagerato un po' alleggerendomi troppo, con un'aspirina prima di andare a letto e una sudata notturna spero di risolvere tutto.
RispondiEliminaMi fa piacere che le foto siano state di tuo gradimento, e ne ho altre in serbo che metterò per il prossimo viaggio.
Un caro saluto e un abbraccio, e alla prossima!
Ciao, Francesco
La foto n 12 è bellissima. Sempre che io non abbia sbagliato a contare ;-)
RispondiEliminaAnch'io oggi ho pedalato: casa-scuola-asl-casa... non proprio uguale ma, cosa vuoi, si da quel che si può.
Baci
Flo
Ciao Francesca, grazie per la gradita visita!
RispondiEliminaLo scopo del muoversi dovrebbe essere quello di star bene, ma come ho detto a Tomaso forse me ne sono approfittato troppo. Sarà stata la sudata in bici, o il bagno di ieri mattina, fatto sta che stasera mi sembra quasi di avere la febbre.
Domani spero di stare meglio...
Un caro saluto e a presto,
Francesco
Ciao Flo, grazie per la visita e il gradito commento, del quale ricambio tutto, ma proprio tutto!
RispondiEliminaImmagino che la foto alla quale ti riferisci sia quella dove ci sono io che saluto :) :)
Pedalare fa bene, lo dice anche Renzi, e a me piace un sacco.
Poi, specialmente con queste giornate di sole e in certe ore, il paesaggio assume dei colori bellissimi. Sono felice come due pasque!!
Un caro saluto e un bacio anche da me,
Francesco
P.S.
Siccome ho scritto il pezzullo durante l'ora di cena, rileggendolo mi sono accorto di alcune cose che non mi piacevano e le ho corrette.
Ciao!