venerdì 30 settembre 2016
Ettore Borzacchini
Storie e personaggi nei ricordi di uno strano organizzatore
La “Bugìa” del Borzacchini
Ricordando Giorgio Marchetti, Accademico della Farina di Semi di Lino e componente del Sodalizio Mvschiato, al Campionato della Bugìa.
di Carlo Bartolini
“Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla” scrive Alessandro Baricco in “Novecento”; così, esortato dagli amici della redazione, eccomi a continuare il ricordo degli irripetibili anni trascorsi a dare una mano, l’altra, i piedi, la testa e soprattutto il cuore come Direttore-artistico-tuttofare (sob!) di quel “Campionato Italiano della Bugìa” che, oltre a coinvolgere ospiti e spettatori, finì dritto al “Maurizio Costanzo Show”, sulla prima pagina del “Sole 24 Ore”, a “Uno mattina”, a “Sereno variabile” da Osvaldo Bevilacqua, a “Segreti e bugie” da Raffaella Carrà, in un editoriale di Enzo Biagi e persino al “TG1”, che immortalò l’esordio alla “Bugìa” di un personaggio fondamentale nella storia della festa piastrese. Fra i numerosi amici che con me condivisero il successo di quegli anni, il ricordo più dolce è infatti per Giorgio Marchetti, meglio conosciuto come l’esimio professor Ettore Borzacchini, Accademico della Farina dei Semi di Lino nonché componente del “Sodalizio Muschiato”, bizzarra Associazione di Volontariato della Satira.
Il Borzacchini, al Campionato della Bugìa
Il Borzacchini, Carlo Bartolini e Federico Sardelli al Campionato della Bugìa
(foto di Patrizio Marchetti)
Il Borzacchini, tra Stefano Caprina (primo da sinistra, con gli occhiali scuri) e Federico Sardelli
Perché Giorgio, valente architetto, avesse raggiunto la fama come professor Borzacchini lo capii in seguito, apprezzando la sua immensa rassegna di libri e articoli di satira di costume; ché quando gli chiesi l’origine di quello pseudonimo, mi rispose “L’ho scelto in omaggio al pilota automobilistico degli anni Trenta che arrivava spesso secondo nelle gare con Nuvolari, Ascari, Varzi, Campari, Fagioli, Brilliperi,…”. Ma solo quando seppi che quel pilota (come cita museoauto.it) “non è tra i più conosciuti del periodo mancando nella sua biografia il gesto esemplare, la giornata del trionfo assoluto, la scintilla che trasforma un asso conosciuto e apprezzato dagli appassionati in un idolo dal nome scandito dalle folle”, compresi appieno il senso della sua scelta. L’omonimia con il pilota già accosta il Borzacchini al tema di questo numero, ma è doveroso ricordare anche il divertente libro sulle auto della sua vita (“Le automobili del Borzacchini” n.d.r.) che mi rammenta quando arrivava nella nostra casa piastrese come fece il 18 agosto 2004, allorché si fermò a salutarci prima di andare a Bardalone dove la sera stessa, sul palco della rassegna “Sentieri acustici” fu protagonista con Bobo Rondelli, di magistrali disquisizioni sulla livornesità. Dopo aver parcheggiato davanti al giardino la fedelissima Fiat Punto che nel libro descrisse “rifulgente d’un color oro metalizzato, che ci vuole un bel coraggio ad andarci a giro sopra, neanche uno fosse un macrò del contado pisano o un promotore finanziario di bond argentini” si soffermò poco per la premura, dicendo che si sarebbe trattenuto di più il giorno dopo, al ritorno. Così, la fresca mattina successiva, tranquillamente seduto al tavolo di cucina, intinse i lunghi baffi nel fumante caffé che mia mamma gli aveva preparato e, con golosa calma, gustò l’immancabile torta di semolino e ricotta premurosamente postagli davanti. Poi, dopo l’affetto dei baci e degli abbracci, la mitica Punto dorata sparì per l’ultima volta ai miei occhi, definitivamente inghiottita dalla discesa verso Pistoia. Seppi in seguito, dal suo libro, che l’aveva sostituita con un “Pandino giallo-maionese, cambio automatico e comandi stereo al volante ché ormai la mia vecchia Punto, provata da ben sette anni di convivenza come fosse un contenzioso matrimoniale vecchia maniera, trascinava il suo aspetto di carretta con la dignità di un deputato della prima repubblica, di quelli che sembrano non dover mai morire ma anzi coll’andar del tempo, la frequentazione assidua e sonnacchiosa dell’aula e le intemperie climatiche tra palazzo Madama e Montecitorio si calcificano, diventan lucidi e smaltati, e mummificano tirando il carburatore (che sta loro in vece dell’anima) coi denti. Così la mia Punto dorata, passati quasi i 200.000 chilometri, si stava consegnando all’immortalità e, pur nella carcassa sfregiata da cicatrici e sbreghi, e tavìa singhiozzante nella frizione, e gemente nei freni, e claudicante nella gommatura da bagnato, pur assetata di benzina verde come un colonnello inglese di Lagavullin d’annata, di lei veneravo la carismatica presenza nella mia disadorna vita e avevo deciso di morire insieme a lei, per trombosi allo spinterogeno”.
Durante la cena al ristorante, nel diluvio del ’96, Stefano Caprina mi aveva parlato di Alberto Fremura ma non aveva fatto parola né del Borzacchini, né del “Sodalizio Muschiato” e io avevo continuato a ignorarne l’esistenza. Solo qualche anno dopo Stefano raccontò che “in una notte di tregenda l'architetto Giorgio Marchetti aveva bussato allo studio del Maestro Alberto Fremura per partecipare a un numero di satira pirata chiamato “Aiò ir Maremoto!” Era il 5 maggio 1988 e di lì a poco diventò uno del gruppo rivelandosi amico prezioso per le sue doti di simpatia, sagacia e creatività. Insieme ne combinammo di tutti colori e forse un giorno tante cose saranno raccontate in un libro, necessariamente di molte pagine”.
Alcuni giorni prima della “Bugìa” del ’97, Enzo Venturi il baffuto vigile urbano della Circoscrizione montana, ci annunciò la presenza della RAI che rispondeva così a un mio comunicato stampa. Il cordiale incontro con Gabriella Leonzi, che ancora ostento nei servizi del Telegiornale, avvenne nella piazza del paese il dì della festa e, mentre correvo (come sempre) a prenderle chissà cosa, Stefano mi si parò davanti, fra la folla. Era giunto in quel momento con sua moglie, Federico Sardelli e l’immancabile Checche e stavano andando verso la loro seconda esperienza piastrese. “Questo invece è il Borzacchini…” mi disse indicando il signore alto, magro e distinto, con il cappello di paglia, il fazzoletto rosso al collo, la barba folta e brizzolata che accanto a lui ci guardava nel casuale incontro. Fu allora che il nuovo arrivato, forse mosso a compassione dalla mia fretta, mi porse orgogliosamente la vignetta a colori che aveva in mano dicendo “Questo è il mio omaggio al vincitore…” “Grazie! – gli risposi – …Ma gliela consegnerà Lei!”.
Le Piastre, 10 agosto 1997. Due foto storiche: sotto lo sguardo di Carlo Bartolini, l'inviata del TG1 Gabriella Leonzi intervista Federico Sardelli (col vestito scuro e la "farfalla"), Stefano Caprina (vestito grigio e incipiente calvizie) e il Borzacchini
(foto di Patrizio Marchetti)
Durante la festa, l’inviata da Roma del “TG1” intervistò diverse persone compresi Federico, Stefano e Giorgio che, davanti alla telecamera, fece sfoggio della sua ironica dialettica; io, defilato, li osservavo a disquisir di bugìe, felice di averli irrimediabilmente coinvolti nella nostra avventura. Il giorno dopo i titoli di apertura del Telegiornale e il sevizio che seguì parlarono di noi e tutta l’Italia, in quel caldo lunedì d’agosto, conobbe Le Piastre e i suoi fantasiosi racconti. Giorgio entrò così nella “Bugìa”, per non uscirne più.
Nel video più sotto, il Prof. Ettore Borzacchini, intervistato da Roberto Guastucci al Teatro di Verzura di Borgo a Mozzano (LU): il paese del famoso Ponte del Diavolo, opera imponente su tre arcate asimmetriche (sec. XII-XIII) che attraversa il fiume Serchio.
https://www.youtube.com/watch?v=KKuIfQ7_xgE
Nel video più sotto, il Prof. Ettore Borzacchini, intervistato da Roberto Guastucci al Teatro di Verzura di Borgo a Mozzano (LU): il paese del famoso Ponte del Diavolo, opera imponente su tre arcate asimmetriche (sec. XII-XIII) che attraversa il fiume Serchio.
https://www.youtube.com/watch?v=KKuIfQ7_xgE
Dopo quel primo anno, arrivava alle Piastre immancabilmente accompagnato dalla moglie, dal figlio Edoardo o da tutti e due insieme, facendomi dedurre che la “Bugìa” doveva piacergli davvero se era diventata una così irrinunciabile questione di famiglia. Che lì si trovasse bene lo confermava sempre quando, prima di andare alla festa, scendeva gli scalini del nostro giardino per entrare in casa spedito, dopo essersi abbassato sotto lo stipite della porta. Ormai quello era diventato un rituale talmente imprescindibile che una volta sua moglie provò a fargli benevolmente notare quell’entrata fin troppo spavalda, in casa d’altri; Giorgio rallentò un po’ il passo, si voltò a guardarla e disse “…Oh, ma qui sono a casa mia!” per poi continuare deciso verso l’abbraccio affettuoso di mia mamma e mia zia che gli venivano incontro. Le chiamava le “bimbe” e così fu anche quel giorno, non ricordo di quale edizione, in cui Edoardo, vedendo quel rito dilungarsi fin troppo, candidamente lo avvertì “Babbo, la Bugìa sta per iniziare… Manchi solo te, sul palco!…”. Giorgio lo scrutò e, serafico, gli rispose “…O Palle, non mi rompere! Aspetteranno un po’… prima ho da salutare le bimbe!” poi, continuò a amare per sempre la festa piastrese accogliendo così, anni dopo, le mie lodi a un suo libro “Questa è una soddisfazione che Camilleri e Faletti non si sono mai tolti; d’altro canto si sono mai visti alla Bugìa dei Tempi d’Oro? Prosit a te caro Carlo e al manipolo dei resistenti, tuo Borz”.
Le Piastre, 9 agosto 1998. Stefano Caprina (a sinistra) e il Borzacchini aprono il tavolo della divertente cena della "Bugìa"
(foto di Francesco Dotti, che ha mangiato dopo...)
Nel tripudio della magistrale tombola durante la quale Giorgio aveva esclamato “Il macellaio delle Piastre è il più fine dicitore di numeri del mondo!”, era terminata anche la “Bugìa” del ’99 e la cucina di mia zia era un trionfo di disegnatori e umoristi. Per rifocillarli dopo la festa, mia mamma aveva, al solito, imbandito la tavola con dolci e Orangina fresca, ché di liquori nessuno voleva sentir parlare. “Questa invece è per Lei…!” disse ponendo, premurosa, davanti a Fremura la gigantesca Coca Cola ghiacciata che Stefano, il giorno prima, le aveva così suggerito per il Maestro “…non so se l’Orangina gli piace e allora, non creando troppo disturbo, se gli potesse procurare una Coca Cola… di cui è goloso!”, “Ma quale disturbo… figurati! E poi, neanche fosse chissà cosa!” aveva risposto lei, pronta. Federico, Stefano e Checche avevano conosciuto l’Orangina bevendola in casa nostra e già diversi giorni prima della festa, mi avvertivano di non dimenticare quel “nettare” di cui facevo scorta (ironia della sorte) in un’enoteca di Pistoia; a Giorgio, invece, piaceva sorseggiarla umettando i lunghi baffi, prima di abbinarla a fragranti fette di torta, con semolino e ricotta. Così, vedendo scorrere quei fiumi d’Orangina, anche Fremura fu mosso dalla curiosità e “…me ne fate assaggiare un po’?!” chiese titubante prima di aggiungere “…ma è buonissima! E poi, dé… ci sono anche i pezzettini d’arancia!”. Lì, al Borzacchini, venne un’idea arguta “…da oggi l’Orangina sarà la bevanda ufficiale della Bugìa e il Bartolini delle Piastre dovrà procurarla non solo in occasione di questa festa ma anche quando interverrà ai raduni del Sodalizio Muschiato, ovunque siano!”.
Alla fine della merenda Giorgio mi stimolò di nuovo con la stessa, stuzzicante proposta dell’anno prima “Dobbiamo istituire un premio da assegnare al politico più bugiardo dell’anno, e quel premio sarà il Bugiardino di Legno! Ché trattandosi di politici… o come glielo vuoi dare?”. La trovata era geniale ma non mi sbilanciai, preoccupato com’ero dalle già molte cose da fare per il Campionato al quale avevamo anche aggiunto la “Bugìa Informatica”, con un sito Internet. Il pensiero però mi tentava così, durante l’inverno, chiamai Stefano dicendogli che il premio si sarebbe istituito se il Sodalizio Muschiato ne fosse stato giudice unico e supremo, e a patto che Giorgio ne avesse curata la motivazione, “Chiamalo subito - mi rispose - ché lui, non aspetta altro!…”. Giorgio accolse la notizia entusiasta e nell’agosto 2000 salì sul palco spiegando la scelta del politico più mendace con un’esposizione così divertente che, alla fine, un Bugiardino d’argento lo consegnammo anche a lui. A quel punto, però, un brivido mi corse lungo la schiena perché, dopo averlo tolto dalla scatolina, lo baciò e prima di infilarlo nella catenina che gli pendeva dal collo, accennando le altre due medagliette, mi disse “Guarda, è in buona compagnia… questo è il ricordo di mia mamma e questo di Luchino Visconti!”.
Quelle parole le rammentai anche nel novembre 2002, quando Giorgio lasciò “Il Vernacoliere” perché Mario Cardinali non volle pubblicare un suo magistrale articolo di satira di costume, sui girotondi romani. Nella successiva disputa dei lettori, a difesa della libertà di satira, mi schierai apertamente dalla parte di Giorgio inviando al padre-padrone del periodico labronico una vignetta e una lettera dai toni garbati, che così terminava “Vorrei concludere dicendo soltanto, ma questo Lo avrà già capito, che anche per me (così, come dice per Lei) Giorgio è un amico e un amico, credo, si difenda e non si tradisca mai. Possiamo solo tirargli le orecchie… qualche volta!”. Cardinali, naturalmente, non pubblicò nulla, però inserì il mio nome fra quanti si erano allineati a favore di Giorgio e per me essere in quell’elenco con il regista Paolo Virzì e altri personaggi fu un onore grande quasi, come quando, nel “Terzo Borzacchini Universale”, mi trovai citato fra i Benemeriti del Sodalizio Muschiato.
Poi, nelle successive edizioni del Campionato, continuai soltanto a stupirmi di come, per quel premio particolare, da tutta l’Italia e fin dalla vigilia della festa, arrivassero a Le Piastre giornalisti curiosi di conoscere il nome del politico a cui la dissacrante motivazione di Giorgio assegnava quell’insolito riconoscimento che, dopo le mie dimissioni e la sua uscita di scena, più non esiste.
Didaco veniva alla “Bugìa” con l’autobus. Personaggio tipico di una Pistoia che non c’è più, aveva sempre fretta di andare sul palco e quando, a un certo punto della festa, il presentatore finalmente lo chiamava a raccontare le sue fandonie, allargava le braccia nel solito gesto liberatorio. In città era conosciuto come grande tifoso della Pistoiese e del Milan, passioni che esibiva alternando al collo, ora la sciarpa arancione e ora quella rossonera; ma in Piazza Mazzini (ritrovo dei tifosi più accaniti) erano soprattutto famosi i suoi racconti delle cene a Roma con Berlusconi, durante le quali non perdeva certo l’occasione di suggerirgli l’acquisto di questo o quel calciatore, ovviamente suoi amici; ché poi, se ne aveva dimenticato qualcun’altro, lo chiamava direttamente in Parlamento, sul telefonino. Proverbiali erano anche i suoi incontri con Gianni Agnelli, il Presidente Ciampi e altre personalità alle quali dispensava preziosi consigli, in cambio di non certo inconfessabili segreti.
Il Borzacchini e Didaco Breschi al Campionato della Bugìa
Durante l’anno, quando lo trovavo per strada, mi veniva incontro e, ricordando l’omaggio estivo che lassù, immancabilmente gli facevamo, mi stringeva la mano dicendo “Voi delle Piastre mi garbate, siete bravi… bravi davvero!” poi, estraeva di tasca uno stemma di stoffa della Pistoiese o un dollaro d’argento regalatogli da chissà quale magnate, donandomelo fiero di soddisfazione. Ho sempre pensato che quella festa gli piacesse perché era l’occasione giusta per dimostrare la sua straordinaria fantasia; peccato solo che, sul palco, nell’ufficialità dell’evento, perdesse la naturalezza e la spontaneità del racconto, terminando ogni volta incerto e con la voce velata d’emozione. A noi però non importava e, immaginandolo trionfante al ritorno sulla corriera, la coppa più grande era sempre per lui. Si, direte, ma con il Borzacchini che c’entra? C’entra… eccome se c’entra, visto che ho ancora la foto che Didaco volle farsi con lui, entrambi con il cappello di paglia (Giorgio l’aveva preso a sua moglie), dopo quell’edizione in cui, sempre più impaziente per non essere chiamato, si scostò un poco dal palco e, girato verso la siepe, orinò abbondantemente con le spalle rivolte alla folla. Nel divertito stupore generale le uniche parole per lui di conforto furono proprio quelle del Borzacchini che, già a Lucca, arrivando in ritardo a una mostra di Fremura e Stefano, a quest’ultimo che gli domandava preoccupato cosa fosse accaduto, con l’arguto opportunismo del grande satiro, tranquillamente rispose “…O se me l’ero fatta addosso?!”
Il Borzacchini, ritratto da Federico Sardelli sulla copertina
de "Il Terzo Borzacchini Universale"
Il Borzacchini, ritratto da Federico Sardelli sulla copertina
de "Il Nuovissimo Galateo del Borzacchini"
Qualcuno ha detto che Giorgio, con l’umorismo, riusciva a declinare i vizi della vita confermando che “IlBorzacchini universale” - libro mastro composto da quattro tomi forgiati a colpi di lemmi che non conoscono il passare del tempo né l’evoluzione della lingua - è un po’ la quintessenza della nostra cultura. Per questo non mi sorpresi quando, nell’agosto 2014, ricordando la premiazione di Alberto Fremura a Le Piastre (2), a noi amici, scrisse “In occasione del XV Anniversario, il Borzacchini emette il motu proprio, con dittaggio aruspice e perifrastico, «OMNIA VINCIT HUMOUR». E così spero di voi…”
L'annuncio del raduno del Sodalizio Mvschiato a Livorno, in ricordo del Borzacchini
La morte, però, arriva sempre fuori stagione e dal 7 settembre successivo, quando Giorgio ci ha lasciati orfani della sua capacità di farci sorridere dei nostri difetti, conservo quel profetico assunto e le parole di Federico Sardelli, nell’ultimo saluto “Il Borzacchini e’ stato il più grande scrittore umoristico degli ultimi 40 anni. Un grande talento con la capacità di vedere l’elemento comico della vita, di grande spessore letterario e con un lessico sterminato. Capace di scrivere cose di altissimo livello, degne dei migliori classici e di far ridere. Un vero genio. Intelligente, sapeva scherzare su tutto deliziando migliaia di persone con un universo di parole, storie, situazioni e personaggi: un affresco gigantesco che ogni giorno arricchiva con qualche pennellata. Ciascuno di noi ha attinto, per anni, a quelle straordinarie invenzioni e a quella capacità di vedere il mondo in modo così inconsueto da essere insostituibile, che so?… come le albicocche!Ecco, da oggi, è come se non esistessero più le albicocche…”
Il simbolo del Sodalizio Mvschiato, dopo la morte del Borzacchini
Purtroppo non esistono più neppure gli squilli improvvisi del telefono sulla mia scrivania, in tardi venerdì-pomeriggio alla Breda, quando accennavo un “Pronto!…” tanto formale quanto diffidente, pensando a un intoppo che arrivava a frenare l’uscita verso l’agognato fine settimana. Era invece l’inattesa voce di Giorgio a urlarmi nella cornetta “Prontooo… Sono il Presidente di Trenitaliaaa!…”facendo rimbalzare fragorosa nell’ufficiola mia risata, prima di continuare “…ma quando ce li consegnate i convogli superveloci che vi abbiamo ordinato? Acc… con questi, non si arriva mai!…” poi, precedeva gli immancabili baci alle “bimbe”, rafforzando la battuta con un ghigno beffardo a cui faceva da sottofondo il cadenzato fruscìo del treno che lo riportava a casa, dopo la settimana trascorsa a Roma.
La caricatura che Francesco Dotti ha dedicato al Borzacchini
“A Lucca c’è la Messa, qui a Livorno invece…” a un anno dalla sua morte, è iniziata così la telefonata di Stefano che mi preannunciava le celebrazioni del “Sodalizio Muschiato” mutilato, anche nel logo, da una colonna del tempio spezzata in segno di lutto.
Livorno - Villa Fabbricotti, 7 settembre 2015. Il ricordo del Sodalizio Mvschiato presso la "Panchina del Borzacchini"
Nato lucchese ma fiero livornese, in Giorgio convivevano l’anima legata alla quotidianità di Lucca e quella pervasa di affetto per Livorno, città di origine dei genitori; così il pomeriggio del 7 settembre 2015, nel giardino di Villa Fabbricotti, presso la “Panchina Borzacchini” dove lui sedeva per leggere, scrivere e meditare, i Sodali si sono radunati declamando brani di suoi libri, mentre altri amici hanno narrato un ricordo.
La "Panchina del Borzacchini"
Targhetta della "Panchina del Borzacchini"
Sulla panchina è stata poi apposta una targa in ottone mentre gli intervenuti hanno ricevuto una cartolina con l’acquaforte di Federico Sardelli, a lui dedicata. La storia del Borzacchini, insomma, continua e continuerà ancora a lungo, con altri eventi. Io, nell’attesa, penso di nuovo che “Non sei fregato veramente…”
GIORGIO MARCHETTI nasce a Lucca nel 1943. Valente architetto, col nome d'arte di Ettore Borzacchini (esimio Professore nonché Accademico della Farina di Semi di Lino) è stato un famoso umorista e notista di costume. Nel 1994, con gli amici Alberto Fremura, Marcello Sardelli, Stefano Caprina e Federico Sardelli fonda “Il Sodalizio Muschiato”, associazione di volontariato della satira.
Nel 1996 vince il Premio Satira di Forte dei Marmi e per anni è prestigiosa firma del Vernacoliere, della rivista Comix e di quotidiani. Negli ultimi anni scrive su Il Tirreno e fra i tanti suoi libri si ricordano "Il Borzacchini Universale (Dizionario
Ragionato di lingua volgare "del parlaretoscano e vieppiù labronico" in 4 volumi: 1996, 1999, 2003, 2006); "Il Galateo del Borzacchini" (2004); "La villeggiatura del Borzacchini" (2005); "Le automobili del Borzacchini" (2008) e "Il caffè del Borzacchini" (2010).
E’ deceduto a Viareggio nel 2014.
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