domenica 2 settembre 2012
Sardegna e Industria
E' chiaro che quando c'è una crisi questa pesa per tutti. Ma non allo stesso modo. Le vicende storiche attraverso le quali l'italico popolo è passato, da nord a sud, ma soprattutto al sud e nelle isole - con un particolare riferimento alla Sardegna "industriale" degli anni Sessanta - dovrebbero far riflettere chi ci governa. Perché se a sviluppo dovrebbe corrispondere adeguata economia e qualità della vita, fermando il primo si ferma anche la seconda. Mettendo in sofferenza la terza.
Ne deriva che, in tutto questo, è importante una seria programmazione. Che però deve essere accompagnata da scelte adeguate per quanto riguarda gli orientamenti industriali, senza mai perdere di vista quelli naturali degli abitanti dove queste industrie si impiantano, e gli altri di tipo "geografico-territoriale". Ebbene, quando tali equilibri - specialmente se già costruiti su fragili fondamenta o, peggio, su interessi pubblici che poi diventano privati - vacillano e si spezzano, è segno che qualcosa di molto importante ci è sfuggito di mano. Così, mentre si apparecchiano vertenze sui tavoli del Ministero dello Sviluppo Economico, il... coperto è sempre il solito: esuberi, esodi più o meno incentivati, cessioni, chiusure, cassa integrazione.
Proprio una bella tavolata, non c'è che dire!
Per quanto riguarda la crisi in Sardegna, pare che la causa tirata in ballo più spesso sia quella dei costi di produzione, forse troppo elevati, in concorrenza con gli altri d'importazione più convenienti. Da lì alla chiusura degli impianti il passo è breve. Io non me ne intendo, d'accordo, ma i "tecnici" - e non mi riferisco solo a quelli dell'attuale governo - che ci stanno a fare? Non dovevano essere proprio loro, i "cervelloni", che di problemi simili ne hanno fatto il pane quotidiano, a trovare le soluzioni più adatte?
E, specialmente per la Sardegna, quand'era tempo di farlo, non pensate che avrebbero dovuto usare un occhio di riguardo prima di snaturarne del tutto, e in modo irreversibile, tradizioni e stili di vita che l'hanno condotta verso quel cataclisma antropologico che è sotto gli occhi - bendati - di tutti? Se prima era terra di pastori e agricoltori, oggi è terra di operai e disoccupati in cassa integrazione. Se questa la chiamate "rinascita", vi conviene cambiare mestiere. O trovare nuove definizioni. Se si voleva industrializzare l'Isola con poli chimici, metallurgici e petroliferi, prima di farlo non sarebbe stato il caso di crearle intorno un mantello protettivo statale, duraturo ma non assistenziale, che invece agevolasse il trasporto del prodotto finito abbattendo perlomeno i costi doganali per favorire la concorrenza?
E ora che siamo in Europa è anche peggio. Quanto pensate che gliene freghi, al "Grande Manovratore", della Sardegna e dei suoi operai?
Intanto, le tasse aumentano, la benzina ha raggiunto costi insostenibili, i consumi calano, chi produce ancora qualcosa non riesce a venderlo e il governo, che tira dritto per la sua strada convinto di racimolare più soldi, alla fine ne incassa meno di prima. W i "tecnici"!
P.S. (aggiunto in data 3 settembre 2012):
Gironzolando per il web, ho trovato un bellissimo sito: http://www.ferrovieitaliane.net/ferrovie-della-sardegna/
che se ancora non conoscete vi consiglio di visitare perché ne vale la pena, dove c'è tutta la storia delle ferrovie in Sardegna e anche di più.
Ebbene, già dal 1870 l'allora ministro delle Finanze Quintino Sella aveva sostenuto che se non si risolvevano prima i problemi legati ai trasporti, la produttività e la competitività di alcuni settori ne avrebbero risentito.
In questo caso si riferiva alla redditività dell'industria mineraria del territorio dell'iglesiente ancora privo di collegamenti su rotaia (treno) con il resto dell'Isola. Infatti, se è del 1872 la linea Cagliari-Iglesias, solo a partire dal 1896-98 si realizzò il breve tratto da Monteponi a Iglesias (circa Km. 2), e da Monteponi a Portovesme (una ferrovia "mineraria" privata, a scartamento ridotto, aperta nel 1875).
Insomma, se nel 1873 io avessi voluto andare da Monteponi a Portovesme avrei dovuto aspettare 2 anni, e la bellezza di 23 anni per andare da Monteponi a Iglesias.
Per questo non ci sono mai andato. Almeno col treno...
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